Hollywood Costume: quando l’abito fa il monaco
Una mostra celebra il cinema di Hollywood tramite il lavoro essenziale del costumista. Presentato come evento di punta al Victoria and Albert Museum, Hollywood Costume non tradisce le aspettative e permette al museo di portare a segno anche un altro bel risultato. Artribune l’ha visitata e fotografata in anteprima.
Cosa rende un film, o anche solo una singola scena, indimenticabile? C’è la regia ovviamente, la sceneggiatura. Ma come sarebbe James Bond senza il suo celebre smoking, o Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany senza Givenchy, il De Niro di Taxi Driver senza giacca di pelle e camicia a quadrettoni?
La mostra Hollywood Costume, al Victoria and Albert Museum di Londra, racconta questo: come nasce un costume che funziona con la scena, la storia, l’attore e il suo personaggio. Che non si parli di “moda” per questa esposizione, ha subito detto la curatrice Deborah Nadoolman Landis, studiosa della materia e professionista del settore (nel suo curriculum anche gli abiti di scena di The Blues Brothers e Indiana Jones). Qui si analizza quel particolare tipo di design che concorre a fare di un film, come si dice, un capolavoro. Questa esposizione ambisce a essere molto di più di una semplice sfilata, perché il soggetto di indagine è il making of più che il risultato finale. Gli abiti sono accompagnati da un ricco apparato fatto di estratti di copione, veri e propri studi del costumista sul personaggio e sulla storia, oltre ovviamente a spezzoni di film, musiche, interviste.
Per risolvere il problema di come richiamare alla memoria attore e personaggio, invece di optare per posticce parrucchette (o peggio), il curatore dell’allestimento, Casson Mann, ha pensato di sostituire le teste dei manichini con fotografie o monitor che ritraggono il volto, muto ma animato, del protagonista.
Sin dai primi passi per la mostra, in un borbottio di “ti ricordi questo?” e “che anno era quest’altro?”, si intuisce il successo assicurato, sia presso i semplici amanti del cinema che tra i cinefili della prima ora. Del resto, quale bambina non ha provato a farsi un vestito con la tenda di casa, emulando la celebre scena del riscatto di Rossella O’Hara? Trovarsi a un passo da quel gioiello di velluto verde e leggere la storia della sua realizzazione, è senza dubbio emozionante. Di tutto altro genere i costumi di Fight Club, o il vestaglione di ciniglia del Grande Lebowsky, il dark style della famiglia Addams, il country di Brokeback Mountain, solo per citarne alcuni. Fino ai trionfi regali dei costumi di Elizabeth: The Golden Age, il Marie Antoinette di Sofia Coppola, Le relazioni pericolose , riuniti insieme, come in un ballo a corte, sotto la voce A Royal Romance.
Proseguendo nel percorso fanno la comparsa, nella sezione denominata Dialogue, alcuni registi in dialogo con i costumisti. Attraverso film footage, materiali d’archivio e interviste ad hoc, Alfred Hitchcock, la mitica Edith Head e Tippi Hedren raccontano i retroscena della loro collaborazione per Uccelli; poco oltre Tim Burton e Collen Atwood ripercorrono le tappe della loro lunga collaborazione, da Edward Mani di forbice (1990) ad Alice in Wonderland (2010).
A seguire, una vera e propria passeggiata nella storia, dal film muto fino ad Avatar, per illustrare come il lavoro del costumista si sia adattato, nel corso del tempo, alle richieste del pubblico e agli sviluppi tecnologici dei mezzi cinematografici. Si scoprono i segreti del mestieri nell’uso dei tessuti e dei colori quando il cinema era ancora in bianco e nero; si ricordano alcuni trionfi, anche nostrani con Cinecittà e le maestranze italiane, come la Cleopatra del 1963 di Joseph Mankiewicz (ma soprattutto di Liz Taylor). Si passa attraverso il romanticismo di Camera con vista del 1986, si ricordano le avventure di John Wayne e le spade laser Guerre stellari, fino appunto alla nuova tecnologia della CGI (computer generated Imagery), che tuttavia ancora si serve del lavoro artigianale del costumista.
Si arriva così alla sezione Gran Finale, sensazionale, con colonna sonora originale. Come fosse un lungo red carpet, ma molto molto affollato, o il palco di un teatro nel quale è andata in scena la storia del cinema hollywoodiano, ecco apparire tutti i grandi assenti, fino a quel momento, della mostra. Citandone alcuni: Marilyn Monroe è la Zucchero di A qualcuno piace caldo, Keira Knightley è dal set di Atonement; c’è il Javier Bardem di Non è un paese per vecchi, con tanto di bombola ad aria compressa; ci sono Tony Manero, Austin Power, l’Uomo Ragno (ovviamente arrampicato sul muro), Superman in volo, Batman che ti scruta da una balaustra. Dalla parte opposta Nicole Kidman si dondola sul trapezio del Moulin Rouge. A fare l’ultimo saluto, prima dell’uscita, Dorothy/Judy Garland con le sue scarpette rosse.
In occasione della presentazione alla stampa della mostra, il co-curatore Sir Christopher Frayling ha annunciato la donazione appena avvenuta a favore del V&A da parte del British Film Institute della sua intera collezione di costumi, circa settecento pezzi. Questo gesto, avvenuto dopo due anni di trattative, segna anche l’inizio di una nuova collaborazione tra i due istituti. “Del resto” ha detto sempre Frayling “l’uso del mezzo filmico e l’attenzione alla performance stanno diventando sempre più importanti per il museo”.
Tornando a Hollywood Costume, una menzione speciale, per usare una definizione appropriata, va al bookshop. Chi segue la programmazione del museo sa quanto il merchandising proposto sia sempre su misura rispetto alla mostra presentata. Oltre a moltissimi volumi sul cinema e il costume, questa volta si sono davvero superati per ironia e intuito. Si aggiudicano un premio speciale: il costumino verde alla Borat; il remake delle scarpette rosse del Mago di Oz; i popcorn e dolcetti con etichetta personalizzata; i finti corvi, richiamo hitchcockiano; i baffetti di Chaplin.
Maria Cristina Giusti
Londra // fino al 27 gennaio 2013
Hollywood Costume
VICTORIA AND ALBERT MUSEUM
Cromwell Road
SW7 2RL
+44 (0)20 7942 2000
[email protected]
www.vam.ac.uk
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