A un primo impatto visivo, sul pavimento a disegni geometrici dello spazio ottagonale, sembra sia planato uno stormo di neri corvi. Sono invece libri, a centinaia, “libri carbonizzati e poi fissati con una speciale resina”, spiega Zaelia Bishop (Roma, 1977). “Sostanzialmente imbalsamati”. Insieme all’albero secco con le radici a vista, “un ciliegio selvatico legato alla mia infanzia”, racconta ancora l’artista, sono gli elementi base di questa straordinaria installazione. Che mette in scena una sorta di “cenotafio dove si consuma la fine di una crescita, si celebra il funerale di tutte le scelte di vita non percorse e ormai impenetrabili”.
Lo spazio, fortemente connotato da un’architettura fondata sull’apparenza illusoria della realtà – tipica del barocco – si trasfigura. Si fa crogiolo alchemico nella metafora junghiana dello sviluppo psichico verso la propria identità. Nel passaggio dall’archetipo dell’Innocente all’età adulta in qualche modo si muore a se stessi e si risorge. Non c’è riconoscimento di sé senza doloroso mutamento. L’albero collocato nell’altare proietta verso l’alto reticoli d’ombre che bucano il bianco della volta. Esaltano la sua valenza simbolica di soglia d’accesso verso mondi altri, di comunicazione tra cielo, terra e mondo sotterraneo. Qui le radici fanno riferimento alla psiche primitiva e oscura, invisibile alla coscienza.
E ritorna il dedalo, già indagato dall’artista negli anni scorsi. Con uno scarto temporale e di senso, la disposizione dei libri nello spazio (spettacolare vista dall’alto) evoca infatti quella figura spesso presente nei pavimenti di cattedrali gotiche. Come il labirinto evoca la difficoltà di trovare la strada interiore e che, almeno in apparenza, “non conduce da nessuna parte offrendo come sola via d’uscita la sua stessa entrata”.
Lori Adragna
Roma // fino al 6 ottobre 2012
Zaelia Bishop – Novembre 1977
a cura di Claudio Libero Pisano
SALA SANTA RITA
Via Montanara
060608
salasantarita.wordpress.com
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