Dove Allouche. In attesa del Pompidou, il suo mondo a Roma
È un momento d’oro per il francese. Nella mostra romana da Nomas Foundation, fino al 10 gennaio, vengono alla luce le ultime istanze di una ricerca in continuo fermento. Che rievoca il passato nelle tecniche per riformulare il presente. In contemporanea, Allouche partecipa alla collettiva al Palais de Tokyo a Parigi. E la Ville Lumière lo omaggerà anche nel 2013, quando il Pompidou gli dedicherà una monografica.
La prima personale italiana di Dove Allouche (Sarcelles, 1972; vive a Parigi) ci fa assaggiare il complesso universo artistico e culturale di un artista, definito da Pancotto “un disegnatore dagli esiti pittorici”. In mostra quattro lavori inediti su carta di grandi dimensioni, due dal titolo Nos lignes sous les obus toxiques, due Chausse-trape (2011-12) e nove opere di cui otto appartengono al ciclo Zenith (2011), mentre Sans titre (2012) alla serie ispirata al Vesuvio.
Pensionnaire all’Accademia di Francia nel 2011/2012, Allouche ha metabolizzato la Città eterna, teatro di sedimentazioni storiche e culturali per eccellenza, non attraverso evidenti tratti tipici o iconografici, ma, più indirettamente, “nel consistente impianto tonale che le sostiene e lo pone in dialogo ideale con l’analogo orientamento maturato dalla cultura figurativa locale tra le due guerre, in particolare nell’ambito dell’École de Rome”, come ancora scrive il curatore della mostra.
Il tempo come matrice, i cicli naturali, l’azione dell’uomo, le sovrapposizioni sociali come oggetti della sua ricerca si intrecciano a letteratura, cinema, danza, teatro, scienza, storia, in un vasta rete di relazioni, tecniche e intellettuali, volute e casuali, con esponenti e avanguardie della storia dell’arte degli ultimi due secoli. La stratificazione semiotica alla base del processo artistico di Allouche si traduce graficamente in commistioni di tecniche, materiali e supporti che, tesi alla sperimentazione delle tecniche di riproduzione dell’immagine, sono testimoni di un ritorno alla cultura del “fare artistico”.
E così, la stereoscopia imprime una salda struttura tridimensionale a Nos lignes sous les obus toxiques e Chausse trape, sordide istantanee della desolazione postbellica in cui, partendo dalla fotografia, il disegno a grafite si declina in variazioni tonali ridotte al minimo e nei raffinati confini del bianco e nero, restituendo una visione muta dello squallore della guerra. Haute Montagne, pubblicata nel 1931 dall’alpinista Pierre Dalloz, è la fonte d’ispirazione per la serie Zenith, trasposizione in disegno di otto eliografie. Le vette alpine cristallizzate e gli scoscesi scenari montani sono tratteggiati in una composizione cromatica che riduce il peso dei contrasti, visualizzando quasi un negativo fotografico, reso trasparente dall’uso dei supporti in vetro.
La dimensione temporale governa, ancora, il processo creativo e tecnico alla base di Sans titre (2012), nelle parole dell’autore: “Volevo realizzare un gesto simbolico: lanciare un apparecchio fotografico, attaccato ad una cordicella e con lo scatto programmato a dieci secondi, dall’alto di una montagna (in questo caso il Vesuvio). La foto è stata presa durante la caduta. L’apparecchio fotografico ha attraversato simbolicamente e realmente 2500 anni di stratificazione vulcanica, come se ritornasse indietro nel tempo”.
In questo caso la Fisautotipia, antica e quasi dimenticata tecnica fotografica, fissa i contorni dell’immagine sulla lastra di rame argentato tramite vapori di essenza di lavanda, ma anche nitide striature temporali sulla nostra retina. L’evolversi dell’opera aderisce ad una mutazione cronologica: nel corso degli anni, infatti, il vapore svanirà gradualmente e i tratti figurativi renderanno l’immagine diafana, come se fosse sommersa dai gas di esalazione del vulcano.
Marta Veltri
Roma // fino al 10 gennaio 2013
Dove Allouche
a cura di Pier Paolo Pancotto
NOMAS FOUNDATION
Viale Somalia 33
Catalogo cura.books
06 86398381
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www.nomasfoundation.com
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