Trubbiani, il crudele racconto della scultura
Voli frenati e uccelli inchiodati. Ratti che escono dai tombini e bambini trattenuti da lacci che ne impediscono il gioco. Le sculture e le installazioni di Valeriano Trubbiani hanno invaso la Mole Vanvitelliana di Ancona. Un percorso dagli Anni Sessanta al Duemila. Fino al 17 marzo.
Se la vita è una favola, allora è una favola crudele, dove vita e morte si intrecciano senza rancore. Valeriano Trubbiani (Macerata, 1937), da una tradizione di fabbro delle campagne marchigiane, inizia il suo percorso di scultore negli Anni Sessanta come attento osservatore della modernità che sta cambiando i lenti ritmi della vita rurale. Sono gli anni in cui un po’ in tutta Italia il mestiere artigianale perde la propria umanità per urbanizzarsi, rinchiudersi dentro le fabbriche che annullano la poeticità del gesto del fare. Lo scultore crea macchine atroci, che stritolano nei propri sadici ingranaggi animali indifesi. Le vittime sono i miti animali dell’aia, il bestiario della sua infanzia: rondini, papere, buoi; metafore dell’uomo che, immerso nel cinismo della vita moderna, perde la propria umanità, e, con essa, anche la libertà di volare con l’immaginazione. Corde, lacci, chiodi, meccanismi trattengono uno slancio verso quell’infinito che fa parte dell’uomo, ma di cui spesso l’uomo si dimentica.
La fantasia inchiodata – in quelle prime che sono forse le opere più autentiche e che meglio hanno sperimentato un linguaggio legato all’attualità – ad un certo punto si libera, e diventa narrazione. Trubbiani, da ironico affabulatore quale sa essere, trasforma la scultura in racconto. E così inizia a giocare incravattando papere e tacchini, sempre stretti da un laccio, sì, ma da se stessi, e si abbandona alla poesia di due grandi poeti, interiorizzando l’universale nel personale: Federico Fellini – con il quale collabora per le scenografie del film E la nave va – che lo asseconda nell’ossessiva ricostruzione di modellini navali, e il conterraneo Giacomo Leopardi, con cui condivide un pessimismo cosmico, che strozza la voglia di fuga dell’artista. La riflessione sull’uomo, nel frattempo, si fa più limitata e personale: ferito, l’uomo dapprima si chiude in se stesso e si difende dentro città turrite, poi diventa aggressivo, ma sempre proteggendosi dentro corazze e scafandri. Il messaggio finale, sebbene ci mette di fronte una bellezza formale ricca di immaginazione, nutrita di storia passata, non è positivo: le spade sono una selva, che, di nuovo, sbarrano il passo al progresso umano, in un medioevo che oscura ogni possibilità di ascolto e apertura verso gli altri.
Questo è il percorso di vita e di lavoro che Valeriano Trubbiani ricostruisce teatralmente nelle stanze della Mole Vanvitelliana di Ancona, in una mostra antologica a cura di Enrico Crispolti, dove sculture, installazioni, disegni e pirografie, realizzate dagli anni Sessanta al primo decennio del Duemila, si compongono come in un’unica rappresentazione in venti “scene”, allestite dagli architetti Massimo Di Matteo e Mauro Tarsetti, che riuniscono in totale 160 opere. Tutte le sculture possono essere toccate: infatti l’esposizione, promossa dal Museo Tattile Statale Omero e dal Comune di Ancona, è fruibile anche da parte di visitatori non vedenti.
Annalisa Filonzi
Ancona // fino al 17 marzo 2013
Valeriano Trubbiani – De Rerum Fabula
MOLE VANVITELLIANA
Banchina da Chio 28
071 2811935
[email protected]
www.museoomero.it
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