Un architetto, un artista, un hotel. Heidi Locher e la Kalifornia
“Hotel Kalifornia” indaga un momento singolare delle “procedure di ascolto” che dedichiamo ai nostri mondi interiori: quello che si innesca nella solitudine di una camera d’hotel. Un architetto e un artista per un video-racconto molto femminile.
Chi è solito viaggiare e star via spesso da casa, magari col minimo di un bagaglio a mano, sa bene di cosa si tratta. In caso costei fosse donna, potrebbe riconoscersi nell’opera e trovare traccia di propri personali percorsi .
Hotel Kalifornia è un progetto pensato da Heidi Locher, architetto prima che artista, famosa nel Regno Unito per progetti importanti, realizzati insieme al marito Richard Paxton e poi da sola, dopo la morte di lui. È un progetto “femminile” di una sensibilità spinta oltre, a un livello forse non completamente accessibile a una mente maschile.
C’è arte e architettura insieme, in Hotel Kalifornia. Heidi crea la propria interpretazione del modo in cui è possibile comporle: la sua architettura d’aria esprime come l’una supporta l’altra nel comunicare il mistero di certe riflessioni sfuggenti, imprendibili se non in certi momenti di particolare solitudine e distacco dalle cose di cui ci circondiamo ogni giorno.
La camera d’hotel è il luogo neutro che accoglie pensieri sui nostri paesaggi interiori, ospita riflessioni che altrove non formuliamo con la stessa chiarezza e “incisione” di immagine. In quell’assenza ci soffermiamo a guardare cose che ci portiamo dentro in ombra e capita di scoprire scenari insospettabili, che possono inquietarci profondamente o portarci fuori da un’inquietudine mal compresa. In quei pensieri e in quella stanza dall’ambiente estremo, che nulla ha a che fare con la vita di tutti i giorni, risalgono memorie e angosce che possono lasciare cicatrici mentali o liberarci da oppressioni.
Heidi Locher ha sviluppato l’intuizione di un attimo in una sequenza di tre video-racconto. Ogni corto, dedicato a una fase di passaggio della vita di una donna, rappresenta il cambiamento che avviene nell’acquisizione di un nuovo stato di maturazione personale.
C’è un risveglio tra fogli che volano e lei che annaspa per prenderli. C’è la fine dell’adolescenza che porta rabbia, rompe e spacca tutto nel momento terribile della delusione. C’è la fase adulta che è consapevolezza. E c’è la fase finale catartica, simbolica, rituale della vita. Sequenza rapida, asciutta, per scene che si muovono al rallentatore, come sott’acqua. I colori passano dal ghiaccio al fuoco, il linguaggio filmico è leggero, da sfiorare lo spot pubblicitario, niente è drammatico. L’effetto a orologeria arriva dopo, anche quello al rallentatore, e comunica una presa d’atto senza appello, riguardo ad alcuni passaggi obbligati dell’esistenza.
La Locher artista ha sondato con levità un’esperienza di cui spesso non ci accorgiamo, la Locher architetto ha progettato una stanza d’hotel per il set e per l’installazione in mostra. Il letto sospeso a sbalzo dalla parete e il vento dalle finestre creano una camera volante per viaggi necessari alla scoperta di se stessi.
Hotel Kalifornia prende il nome dalla canzone degli Eagles: “We are programmed to receive. / You can checkout any time you like, / But you can never leave!”.
Emilia Antonia De Vivo
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