Mi dirigo verso una donna che mi saluterà con la mano fissandomi negli occhi e allontanandosi sempre di più. Ne conservo il ricordo, dopo averla incontrata qualche mese fa al Sint-Janshospitaal di Bruges, nella mostra Tant d’amours et tant de larmes. Come spesso accade con ciò che si ha amato, ho paura di averne sublimato l’immagine e che il rivederla deluderà le mie aspettative.
Non è così: Long goodbye di David Claerbout (Kortrijk, 1969; vive ad Anversa e Berlino) mi cattura nuovamente dal primo fotogramma. L’allestimento ideato per il Mart da Pedro Sousa riesce a creare le condizioni ideali per la visione dei lunghi video dell’artista belga, con i bambini seduti sulla moquette e gli adulti che fissano le scene, cercando forse di comprendere quali siano gli elementi che impediscono di distogliere lo sguardo dallo schermo. Eppure non sono storie avvincenti, con effetti speciali o colpi di scena, non hanno elementi spettacolari, grotteschi o comici.
L’artista, infatti, esamina gli accadimenti che riprende, sezionandoli. Offre l’impressione di una molteplicità di punti di vista, ruotando intorno al centro della scena, come accade in The Quiet Shore o in Section of a Happy Moment.
La sospensione di un istante e il congelamento di un frammento di realtà (o di una messa in scena) diventano il perno attraverso il quale si sviluppa quella che non diviene mai una narrazione, pur avendone i presupposti. Questo implica una costante attesa, priva però di tensione, che viene o meno appagata, come in Riverside. Il tempo rappresenta, quindi, il fulcro della visione, ma “in order to show time you also need to give an availability to it”, dice Claerbout, “and you also need to be able to take time and that’s the difficulty”.
Pur producendo scenari che risultano perfetti dal punto di vista compositivo e formale, Claerbout non si limita a proporre una bella immagine, ma richiede uno sforzo di attenzione e concentrazione che si deve rinnovare per ogni sequenza, senza il quale i dettagli e il significato della sua pratica artistica non possono essere colti. Non ha senso, infatti, interrompere la visione e l’ascolto dei suoi video, togliere le cuffie e accontentarsi di un frammento o credere che una scena sia in loop soltanto perché ci è parso di averla appena vista.
Se il video sembra procedere in modo totalmente indifferente dalla nostra presenza, ci sbagliamo, come nel caso di Rocking Chair, in cui la signora che si dondola sonnecchiando sull’uscio di casa si ferma per un istante e solleva la testa, avvertendo il nostro sguardo mentre la oltrepassiamo per uscire dalla mostra.
Marta Cereda
Rovereto // fino al 13 gennaio
David Claerbout
a cura di Saretto Cincinelli
Catalogo Electa
MART
Corso Bettini 43
0464 438887 / 800 397760
[email protected]
www.mart.trento.it
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