Una mappatura artistica del sud-est asiatico, attraverso la scelta di undici artisti per otto dei tredici Stati che compongono l’area. Un’incursione in un territorio frammentato, dalla storia travagliata, tanto che far giungere alcune opere in Italia non è stato semplice, raccontano in galleria. Si sono affidati, quindi, a undici curatori locali di spicco, che hanno contribuito alla selezione degli artisti e alla redazione del catalogo.
Un’organizzazione complessa per una mostra che dà l’idea di uno scenario variegato. I punti di contatto sono molti, ma quello più evidente è la riflessione sull’identità, talvolta negata attraverso la mancata rappresentazione del viso, come nelle folle dipinte da Aung Ko (Myanmar), nei corpi senza volto del vietnamita Nguyễn Thái Tuấn e nelle nature morte del tailandese Natee Utarit, talvolta celata, come nella serie Human Nature del cambogiano Khvay Samnang, che immortala gli abitanti del sovraffollato e diroccato complesso The Building, nella capitale Phnom Penh, con il viso coperto da una maschera.
Proviene dalla stessa nazione Sopheap Pich, le cui sculture da parete sono state esposte anche a Kassel per dOCUMENTA (13). Unendo elementi del minimal americano a tratti della tradizione del proprio Paese d’origine nella scelta dei materiali, l’artista delinea costruzioni geometriche, composte da piccole celle apparentemente identiche, ma ognuna diversa dall’altra. Anche la ricerca di Isabel & Alfredo Aquilizian, coppia delle Filippine, può essere letta secondo questo punto di vista: i due immortalano se stessi in disegni realizzati come se fossero fotografie identificative, però sgranate, riportando sotto la gigantografia del proprio viso un codice, anziché i loro nomi.
Con gusto voyeuristico e macabro, l’indonesiano Aditya Novali costruisce case di bambola da film dell’orrore, disabitate, in cui stanze triangolari possono essere fatte ruotare su se stesse offrendo una nuova prospettiva dell’interno e una nuova visione dell’insieme, sempre angosciante, ma affascinante per l’accuratezza con cui ogni singolo dettaglio è realizzato. L’artista propone una prospettiva di un possibile futuro per la sua nazione, in cui la qualità della vita è compromessa da una urbanizzazione che non tiene conto dell’individuo.
La città è il soggetto anche delle opere di Donna Ong (Singapore), che pulsano di luce al centro della sala principale della galleria. A city dreams of a city sono lo skyline di una città realizzato con una miriade di bicchieri, vasetti e barattoli di vetro, che l’artista cerca, accumula e offre al collezionista. Proviene dalla stessa città Ruben Pang, la cui pittura su lastre di alluminio dai colori quasi fluo vuole rappresentare le energie emanate da ciascuno.
Un’attenzione alla spiritualità che condivide con i ricami a filo d’oro di Nithakhong Somsanith (Laos), comprensibili solo a pochi iniziati, e con i messaggi racchiusi nella cera dal vietnamita La Huy.
Marta Cereda
Milano // fino al 7 febbraio
Deep S.E.A. – Contemporary Art from South East Asia
PRIMO MARELLA GALLERY
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