Salvatore Scarpitta, fra auto e slitte

La collezione di Damien Hirst al Lingotto, una retrospettiva folgorante di Salvatore Scarpitta alla GAM: quando ci mette un poco d’impegno, la Torino dell’arte contemporanea sa ancora farsi valere, eccome. Per la mostra alla Galleria d’Arte Moderna c’è tempo fino al 3 febbraio.

Se ancora qualcuno nutrisse dei dubbi sulla scarsa pregnanza che ha l’assegnare a un artista una nazionalità, basterebbe guardare l’attacco della stitica scheda che di Salvatore Scarpitta (New York, 1919-2007) propone Wikipedia nella sua versione in inglese: “An American artist”. È vero, nacque e morì nella Grande Mela, ma quando ebbe a che fare con gli artisti suoi “connazionali” nella scuderia di Leo Castelli, ne venne schiacciato, forse con un filo di razzismo.
È perciò un piacere vederne l’opera rivalorizzata a cinque anni dalla morte, con una mostra che resterà indubbiamente incisa nella storia espositiva di questo artista vulcanico. E se l’aggettivo sembrasse esagerato, per convincersi del contrario è sufficiente guardare il breve video che apre la sezione collocata al piano interrato della Gam torinese, e godersi lo spettacolo performativo di uno Scarpitta non più giovanissimo che racconta e mima e sonorizza una corsa in macchina.

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Salvatore Scarpitta, Mr. Hyde (Dr. Jekyll), 1989, Collezione Guido Galimberti, Milano / Mr. Hyde (Mr. Hyde), 1989, Collezione privata, Milano

Le auto da corsa, ecco la sua passione. Scarpitta scende nell’arena realmente, quelle macchine le costruisce, le assembla, le progetta, poi le porta in galleria, e su di esse ci sono gli adesivi degli sponsor, mica sigarette e alcolici, no, ma nomi come Luciano Pistoi e Leo Castelli. Tutto molto Pop (Art), si potrebbe dire, e invece è cosa ben diversa; lo European touch è palese, emerge chiaramente il saper fare artigianale unito a un’ironia disperata. C’è quindi ben poco anche dell’eredità futurista.
Al secondo piano del museo, lo scenario cambia e non cambia. Qui dominano le slitte. E se prima la differenza si marcava rispetto a Andy Warhol, in questo caso viene in mente e subito dopo sparisce Joseph Beuys. Perché in Scarpitta non c’è retorica sciamanica, non c’è ode astuta alla natura, e anche la politica è un richiamo insieme più velato e più ingenuo.

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Salvatore Scarpitta, Straight Away, 1962, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino

Piuttosto, Scarpitta potrebbe essere accostato a Richard Long, come avvenne diversi anni fa in una mostra al Pac di Milano. Contrasto stridente? Nient’affatto, perché si tratta di due maniere diverse, forse complementari, di aderire al terreno e alla Terra. Come dice Tucci Russo: “Due artisti che misurano lo spazio”.
In tutto ciò rischia però di perdersi il discorso sulla pittura di Scarpitta e sulle sue opere a muro in generale, le estroflessioni e soprattutto le “fasciature”: tenere bene a mente tali bendaggi serve a rileggere le auto e le slitte, a osservarne i particolari e a ricollocarne la tecnicità in una dimensione di umanità, di rammendo, di cura.

Marco Enrico Giacomelli

Torino // fino al 3 febbraio 2013
Salvatore Scarpitta
a cura di Germano Celant e Danilo Eccher
catalogo Silvana Editoriale
GAM
Via Magenta 31
011 4429518
[email protected]
www.gamtorino.it

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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