Salvatore Scarpitta, fra auto e slitte
La collezione di Damien Hirst al Lingotto, una retrospettiva folgorante di Salvatore Scarpitta alla GAM: quando ci mette un poco d’impegno, la Torino dell’arte contemporanea sa ancora farsi valere, eccome. Per la mostra alla Galleria d’Arte Moderna c’è tempo fino al 3 febbraio.
Se ancora qualcuno nutrisse dei dubbi sulla scarsa pregnanza che ha l’assegnare a un artista una nazionalità, basterebbe guardare l’attacco della stitica scheda che di Salvatore Scarpitta (New York, 1919-2007) propone Wikipedia nella sua versione in inglese: “An American artist”. È vero, nacque e morì nella Grande Mela, ma quando ebbe a che fare con gli artisti suoi “connazionali” nella scuderia di Leo Castelli, ne venne schiacciato, forse con un filo di razzismo.
È perciò un piacere vederne l’opera rivalorizzata a cinque anni dalla morte, con una mostra che resterà indubbiamente incisa nella storia espositiva di questo artista vulcanico. E se l’aggettivo sembrasse esagerato, per convincersi del contrario è sufficiente guardare il breve video che apre la sezione collocata al piano interrato della Gam torinese, e godersi lo spettacolo performativo di uno Scarpitta non più giovanissimo che racconta e mima e sonorizza una corsa in macchina.
Le auto da corsa, ecco la sua passione. Scarpitta scende nell’arena realmente, quelle macchine le costruisce, le assembla, le progetta, poi le porta in galleria, e su di esse ci sono gli adesivi degli sponsor, mica sigarette e alcolici, no, ma nomi come Luciano Pistoi e Leo Castelli. Tutto molto Pop (Art), si potrebbe dire, e invece è cosa ben diversa; lo European touch è palese, emerge chiaramente il saper fare artigianale unito a un’ironia disperata. C’è quindi ben poco anche dell’eredità futurista.
Al secondo piano del museo, lo scenario cambia e non cambia. Qui dominano le slitte. E se prima la differenza si marcava rispetto a Andy Warhol, in questo caso viene in mente e subito dopo sparisce Joseph Beuys. Perché in Scarpitta non c’è retorica sciamanica, non c’è ode astuta alla natura, e anche la politica è un richiamo insieme più velato e più ingenuo.
Piuttosto, Scarpitta potrebbe essere accostato a Richard Long, come avvenne diversi anni fa in una mostra al Pac di Milano. Contrasto stridente? Nient’affatto, perché si tratta di due maniere diverse, forse complementari, di aderire al terreno e alla Terra. Come dice Tucci Russo: “Due artisti che misurano lo spazio”.
In tutto ciò rischia però di perdersi il discorso sulla pittura di Scarpitta e sulle sue opere a muro in generale, le estroflessioni e soprattutto le “fasciature”: tenere bene a mente tali bendaggi serve a rileggere le auto e le slitte, a osservarne i particolari e a ricollocarne la tecnicità in una dimensione di umanità, di rammendo, di cura.
Marco Enrico Giacomelli
Torino // fino al 3 febbraio 2013
Salvatore Scarpitta
a cura di Germano Celant e Danilo Eccher
catalogo Silvana Editoriale
GAM
Via Magenta 31
011 4429518
[email protected]
www.gamtorino.it
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