Sesso, politica, sottoculture. Gli Anni Novanta in mostra a New York
Una macchina del tempo in forma di mostra. Al New Museum di New York una grande esposizione racconta l’arte dei primi Anni Novanta, tra rivolgimenti sociali, vita mondana e intreccio di culture (e sottoculture). Partendo da un anno chiave: il 1993. Fino al 26 maggio.
“Sex, Skates and Civil rights”. Così potrebbe chiamarsi la mostra appena inaugurata al New Museum di New York. Il vero titolo è invece NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star, preso in prestito dall’omonimo album dei Sonic Youth, (inciso, per l’appunto, giusto vent’anni fa, nel 1993). La mostra indaga la produzione artistica newyorkese di quegli anni, un periodo politicamente e socialmente intenso, caratterizzato da numerosi avvenimenti significativi, non solo per l’evoluzione della società, ma anche della scena creativa, negli Stati Uniti e in Europa.
I primi Anni Novanta rappresentano infatti una svolta in molti ambiti: politico, sociale, intellettuale, ma anche tecnologico. La comunicazione diventa sempre più veloce, lo sviluppo dei mass media accelera la trasmissione di dati attorno al globo, rendendo, di conseguenza, la violenza e il crimine il tema del giorno. Il dilagare dell’AIDS sposta l’attenzione dal mondo delle droghe all’intera società, la visione idilliaca degli Stati Uniti, viene offuscata da guerre e attentati terroristici che costringono a ripensare i confini politici, ma anche quelli morali.
Nel mondo dell’arte, eventi come la Biennale di Venezia iniziano a coinvolgere molti paesi extraeuropei; i primi artisti cinesi arrivano in Europa e negli Stati Uniti; nasce il movimento Young British Artists in Inghilterra; i Nirvana pubblicano In Utero e Kate Moss posa per la prima volta davanti all’obiettivo. Sono gli anni in cui l’underground diventa chic, in cui moda, arte e jet set si mescolano, gli scenari si ampliano e il mondo sembra sempre in cerca di nuovi limiti, da sperimentare e da superare.
Sempre a New York, nel 1993, furono aperte mostre con artisti le cui opere erano meno orientate al mercato, opere che cercavano piuttosto di intavolare un discorso politico e sociale, di provocare, di rompere con i tabù. Si respirava un’energia ribelle, testimoniata anche dalla Whitney Biennial di quell’anno.
La mostra NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star ci offre la grande occasione di poter ammirare proprio quelle opere che nel 1993 (e negli anni seguenti) rappresentarono un punto di rottura con il mainstream dichiarando l’inizio di una nuova era, un risveglio intellettuale che avrebbe cambiato molte cose. Con 75 artisti, più donne che uomini, è una delle collettive più grandi mai inaugurate sulla Bowery.
Iniziando dal piano più alto del museo, una timeline su video di carattere didattico informa lo spettatore sui maggiori eventi accaduti nel 1993 e una parete di ritratti di artisti firmati da Lina Bertucci prepara a una visione successive più emozionante. Scendendo le scale di un piano, infatti, ci troviamo in un ambiente quasi mistico, caratterizzato da una luce soffusa: l’unica illuminazione è offerta dai bulbi di Felix Gonzales Torres (Untitled, 1993). Siamo poi incantati come Ulisse di fronte al canto delle Sirene: il suono di Sail on Sailor (1993) di Kristin Oppenheim riempie l’intera sala, coperta unicamente da un tappeto arancione di Rudolf Stingel, lo stesso che era in mostra negli spazi della Galleria Paula Cooper nel 1991 e che rappresentò un deciso rinnovamento del concetto di pittura.
Il terzo piano è invece più incentrato su una nuova visione del sesso: l’uguaglianza dei generi, i diritti umani, l’AIDS, temi che vengono trattati in modo inaspettatamente aperto e diretto per una mostra istituzionale negli Stati Uniti. La rassegna si apre con l’installazione Cultural Gothic (1992) di Paul McCarthy, macabra evocazione di una vita sessuale perversa, e si protrae attraverso artisti come Ida Appleborg (la violenza celata nella società perbene), BUREAU (i diritti degli omosessuali) e Nan Golding (l’Aids). La maggior parte dei visitatori rimane ipnotizzata dai video Head (1993) di Cheryl Donegan e da It Wasn’t Love (1992) di Sadie Benning, opera realizzata con una toy-camera Fisher Price con la quale l’artista, appena ventenne, ricevette molta attenzione alla Whitney Biennal del 1993.
Altro piano, altri temi: anticonformismo, critica all’american dream, body-performance e autoritratto. Sulle scale un video di Karen Klimnik (Heathers, 1988) e poi opere di Janine Antoni (Lick and Lather, 1993), busti di cioccolata e sapone, che sono stati manipolati leccandoli o lavandoli. C’è poi Cady Noland con Gibbet (1993-94) e Impact on the Image (1993-94), e, per quanto riguarda la body art, l’immancabile Matthew Barney (Drawing Restraing 7, 1993).
La mostra si conclude al piano terra con una grande installazione di Larry Clark, che grazie al film Kids (1995) è diventato una delle figure più note nell’ambito del rilancio della skate-culture, affrontando temi come la ghettizzazione e l’abbandono sociale dei giovani nei sobborghi della Grande Mela.
NYC 1993 è una mostra che merita di essere vista. Non solo perché Massimiliano Gioni e il suo team hanno costruito un viaggio nel tempo alla riscoperta di avvenimenti storici che molti di noi hanno vissuto sulla propria pelle, ma anche perché rende omaggio, oltre che agli artisti, anche ai curatori attivi nel 1993 (Achille Bonito Oliva per la Biennale di Venezia e Elisabeth Sussman, John G. Hanhardt, Thelma Golden e Lisa Phillips per la Whitney Biennial). Curatori che proprio in quell’anno hanno avuto la sensibilità per individuare le tendenze sociali e il coraggio di spezzare con la consuetudine per dare opportunità e voce ad artisti giovani capaci di guardare oltre il mero senso estetico.
Sarah Corona
New York // fino al 26 maggio 2013
NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star
NEW MUSEUM
235 Bowery
+1 212 2191222
[email protected]
www.newmuseum.org
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