L’Italia e Paik: cronaca di un amore
C’era una volta l’Italia, meta obbligata per gli artisti d’avanguardia, attirati da un vivace mecenatismo privato. Eventi e opere ormai storicizzate sono oggi perle da gustare e riscoprire. A Modena si ricorda questa felice joint venture, fino al 2 giugno.
Nam June Paik (Seoul, 1932 – Miami, 2006) e l’Italia. A vent’anni dal conferimento del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, a Modena si individuano con lucidità i due motivi di questo consolidato rapporto. Il primo è l’ammirazione del coreano per la nostra tradizione musicale: “In un’Opera c’è tutto: la musica, il movimento, lo spazio. Così, se un’operazione di arte elettronica riesce con successo, ritengo che debba essere considerata un’Opera elettronica”, dichiarava l’artista.
Fine Anni Cinquanta: Paik, arrivato da poco in Europa ma affascinato già da Schönberg e poi da Stockhausen, rimane fulminato sulla via dell’indeterminazione e del caso, incontrando a Düsseldorf John Cage e Dada. E così converge in Fluxus. Per mostrare la sua ammirazione, a Cage taglia la cravatta durante un’azione pubblica. All’Italia dunque è andata meglio.
La mostra celebra anche il secondo polo del rapporto, cioè un attento e coinvolto mecenatismo privato interessato ai fluxers e impersonato da figure come Carlo Cattelani, Rosanna Chiessi, Luigi Bonotto, Francesco Conz, Antonina Zaru, Peppe Morra, Enzo Gazzerro, Caterina Gualco, Gino Di Maggio. E se il denominatore comune entro Fluxus è un’antipoetica eversiva, i suoi estimatori italiani hanno costruito archivi più che delle collezioni, laddove il significato non sta tanto nelle opere raccolte, ma piuttosto nel “flusso” di relazioni, incontri, rapporti ed eventi costruiti negli anni. Un patrimonio inestimabile, in puro spirito Fluxus, costruito da lungimiranti privati e che le recenti mostre (oltre a questa, anche Fluxus Jubileum a Treviso e Women in Fluxus a Reggio Emilia) stanno validamente sottolineando.
Libertà dalle convenzioni, spiritualità orientale, interesse per musica, elettronica e sperimentazione sono costantemente mescolati nelle opere ideate da Paik. Le varie sezioni della mostra lo dimostrano: foto, serigrafie, manifesti e video documentano le performance di Paik con la violoncellista Charlotte Moorman, ma ci sono anche le installazioni dedicate dal coreano a luoghi dell’Italia o a figure come Giuseppe Verdi, Luciano Pavarotti e Maria Callas.
E come dimenticare la videoarte? Lo schermo che viene contaminato, concettualmente e materialmente, con pittura e scultura, ma anche le videoinstallazioni e la proiezione di Good Morning, Mr. Orwell (1984), prima trasmissione artistica in diretta satellitare mondiale.
Fra i temi forti, emergono l’anelito all’unione fraterna tra i popoli, una commistione zen tra evanescenza e materialità, il tempo reale che entra nell’opera d’arte e la fusione del corpo umano con la tecnologia. Può ancora oggi sopravvivere il virus dell’anti-arte in Italia?
Elena Tonelli
Modena // fino al 2 giugno 2013
Nam June Paik in Italia
a cura di Silvia Ferrari, Serena Goldoni e Marco Pierini
GALLERIA CIVICA
Corso Canalgrande 103
059 2032911
[email protected]
www.galleriacivicadimodena.it
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