La retrospettiva dedicata a Sylvia Sleigh (Llandudno, 1916 – New York, 2010) presenta circa cinquanta lavori tra dipinti e disegni. Nata in Galles, ha passato praticamente tutta la sua vita in America, dal momento che in Inghilterra il suo lavoro pare non avesse avuto una ricezione particolarmente entusiasmante. A New York ha voluto quindi dar voce alle prorie idee praticando l’arte attraverso un approccio sicuramente politico e di ideologia femminista che negli Anni Sessanta l’anno resa famosa, da una parte, ma dall’altra l’hanno relegata a un rango inferiore rispetto alla tendenza astrattista dell’epoca.
Sleigh, infatti, è sicuramente una pittrice realista, ma con una visione tendenzialmente provocatoria rispetto alla cultura dominante. Insieme al marito Lawrence Alloway, critico d’arte e curatore del Guggenheim, sono riusciti a creare un circolo interessante di artisti, scrittori e musicisti che spesso sono diventati i soggetti delle tele della pittrice gallese.
Dai quadri si percepisce una certa familiarità tra soggetti e l’ambiente che li circonda, data appunto la confidenza e l’amicizia intercorsa. Nello stesso tempo, però, c’è una certa strana sensazione che il direttore della Tate, Francesco Manacorda, ha definito “effetto estraniante”, che viene dal modo in cui l’artista fa riferimento a pose canoniche della tradizione pittorica occidentale delle belle arti. In qualche modo, infatti, è impossibile non trovare una connessione tra i suoi soggetti a opere come il celebre ed estremamente controverso Olympia di Manet o Le déjeuner sue l’herbe, che nella seconda metà dell’Ottocento hanno dato una scossa di impatto irreparabile alla lunga tradizione classica attraverso la rappresentazione di soggetti “veri”, non idealizzati, non mitizzati e per certi versi fuori dalla calda luce redentrice divina.
Sylvia Sleigh, in pratica, lavora con la stessa intenzione, ossia mettere in discussione una linea culturale dominante, ovviamente patriarcale e maschilista. Negli anni in cui il femminismo prende un aspetto politico e culturale molto forte, il suo lavoro risulta particolarmente efficace. Troviamo quindi nell’esposizione grandi tele che riproducono nudi maschili che riecheggiano pose ben note della tradizione pittorica classica. Solo che a funzionare da “stonatura” c’è un uomo, come in Michael Greenwood Reclining (1952) o Imperial Nude: Paul Rosano (1975). A sovvertire la retorica secolare dello sguardo maschile ci sono anche soggetti femminili, anch’essi serenamente adagiati su morbidi divani e ritratti in tutta la loro bellezza reale. Niente è lasciato all’immaginazione idealizzante dei corpi che si trasformano in eteree figure senza carne. Al contrario, le sue donne sono quasi ritratte con un’attenzione iper-realista, riproducendo dettagli del corpo come peli, linee d’espressione, rughe e quant’altro di umano fa parte nel concetto di bellezza. Tra i più belli c’è sicuramente il nudo di Eleanor Antin (1968) o Felicity Rainnie Reclining (1972).
Una mostra non solo meravigliosamente curata, ma che rende finalmente omaggio, anche nella sua terra d’origine, a una grande artista che ha sicuramente pedalato controcorrente.
Leonardo Proietti
Liverpool // fino al 3 maggio 2013
Sylvia Sleigh
a cura di Francesco Manacorda ed Eleanor Clayton
TATE LIVERPOOL
Albert Dock
+44 (0)151 7027400
[email protected]
www.tate.org.uk/liverpool
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