Ode all’eterno femminino. Delvaux inedito
Surrealista o non surrealista? Alla Fondazione Magnani Rocca una mostra espone fino al 30 giugno una serie di tele di Paul Delvaux e riformula la questione. Fuori discussione sono invece le sensazioni che lasciano i dipinti: enigma e raffinatezza, spaesamento e freddezza.
Consapevole dei modelli, dal riferimento imprescindibile a de Chirico – il cui incontro l’ha talmente impressionato da indurlo ad affermare che “grazie a lui, ho scoperto di colpo che la pittura non era solo pittura” – ai grandi surrealisti europei, Paul Delvaux (Antheit les Huy, 1897 – Furnes, 1994) instaura un dialogo incessante con la storia dell’arte. Sembra quasi chiedere di giocare alla caccia al tesoro, alla ricerca di qualche citazione da Cranach e da Cézanne, da Modigliani e Léger, dalle xilografie quattrocentesche tanto quanto da Klimt e non da ultimo Picasso, naturalmente.
Quasi autodidatta, il pittore inizia a ritrarre l’ambiente che lo circonda in dipinti dai forti richiami all’Impressionismo e dintorni (in mostra l’esordio bucolico di Delvaux occupa un’intera sala), per poi accostarsi al primo dei suoi grandi “temi”: treni e tram, stazioni e viaggiatori, vapore e polvere diventano protagonisti di grandi quadri, dove compaiono le prime figure, femminili.
Nel 1934 la svolta. L’artista visita l’esposizione Minotaure al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e incontra prepotentemente i surrealisti: non aderirà mai al movimento, respinto più dallo sfondo ideologico che dagli aspetti formali, ma da quel momento in poi le opere cominciano a popolarsi di donne nude, di scheletri “viventi”, di personaggi fuori contesto e stranianti, di volti con grandi occhi spalancati e, sull’altro fronte, di una classicità che riprende esplicitamente l’architettura greca.
Tutto ciò all’interno di una vita segnata da complessi rapporti affettivi con la madre – figura tipicamente “castratrice” -, con il padre e con le mogli, e in un momento storico dove l’affermarsi della psicoanalisi, soprattutto grazie all’Interpretazione dei sogni di Freud, comportava una sconvolgente presa d’atto dell’inconscio e un inevitabile influsso su artisti e intellettuali. “Da una condizione così difficile il pittore ha saputo creare opere dense del tempo lungo della contemplazione, opere dal fascino nascosto, opere sempre sospese al limite della memoria infantile, spazi dove i colori si bloccano, forme isolate, ritagliate, staccate l’una dall’altra, pronte per essere ricomposte in un racconto differente”, scrive Arturo Carlo Quintavalle in catalogo.
L’ossatura della retrospettiva è costruita proprio sui temi accennati, salvo la sala d’apertura dove si trovano alcuni lavori dei surrealisti richiamati con grande evidenza nel titolo dell’esposizione (Max Ernst, René Magritte, Man Ray…): sezione di indubbio interesse ma troppo isolata e poco collegata in via diretta alle opere di Delvaux. Ne risulta una mostra prevalentemente monografica, una piacevole sequenza di dipinti (tra i quali stona una riproduzione non immediatamente riconoscibile) che incuriosisce e intriga, ma che non può prescindere dai testi critici di Quintavalle, già segnalato, e degli altri autori per delineare esaustivamente la poetica autentica e fuori dagli schemi di una figura d’artista così colto, complesso e sfaccettato.
Marta Santacatterina
Mamiano di Traversetolo // fino al 30 giugno 2013
Delvaux e il Surrealismo. Un enigma tra de Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray
a cura di Stefano Roffi
Catalogo Silvana Editoriale
FONDAZIONE MAGNANI ROCCA
Via Fondazione Magnani Rocca 4
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