Sono nove, appena, le opere di Ron Mueck (Melbourne, 1958) esposte alla Fondation Cartier di Parigi. Per una mostra annunciata come in assoluto “la plus complète” e “la plus actuelle” tra quelle – assai rare – dedicate allo scultore iperrealista, un numero così modesto delinea subito due tratti essenziali del suo modo di lavorare. Primo: i tempi, lunghissimi, necessari alla realizzazione delle sculture. Secondo: l’assenza di quella smania produttiva ed espositiva che sembra invece caratterizzare buona parte delle vedette dell’arte contemporanea internazionale.
Che stiamo parlando di una star è fuor di dubbio. Ad oggi, Ron Mueck è il più celebre fra gli scultori iperrealisti, probabilmente anche più del Duane Hanson che, a partire dagli Anni Sessanta, inaugurò il genere. Tuttavia, Mueck conserva quell’antico gusto per gli aspetti più artigianali della creazione artistica, che sembra invece non trovare spazio in certi suoi colleghi altrettanto illustri.
Sotto vari punti di vista potrebbe sembrare un accostamento forzato, ma parlando di star, di sculture e installazioni che destano un certo scalpore, il pensiero corre immediatamente a due nomi: Hirst e Cattelan. Tra Mueck e questi due vi è una differenza sostanziale nell’attitudine al lavoro: da un lato, un artista che arriva a impiegare un anno intero per una singola opera, che tendenzialmente lavora da solo e che saltuariamente si circonda di uno o due assistenti. Dall’altro, vi è l’impostazione warholiana della factory, dove la realizzazione concreta dell’opera è interamente demandata a un’équipe di collaboratori. Un’altra grande peculiarità di Mueck è la sua riservatezza, il suo tenersi sistematicamente lontano dai riflettori. Questo lato caratteriale si traduce in opere d’arte che, pur avendo un impatto forte sul pubblico, non cercano mai la provocazione né l’attenzione morbosa dei media.
Mueck è un iperrealista che privilegia la figura umana, che ama molto giocare con le scale di rappresentazione e con l’alternarsi di situazioni banali e distopiche: troviamo riproduzioni umane di dimensioni ridotte (è il caso di Young Couple, 2013) e altre monumentali (Couple under an Umbrella, 2013); scene di vita quotidiana (Woman with shopping, 2013) e altre provenienti forse da sogni (Woman with Sticks, 2009). Il tutto arricchito dalla mimica facciale enigmatica e ambigua dei suoi personaggi, nonché dalla cura maniacale dei dettagli, delle pieghe corporee come dei peli, concorre nel destare nel pubblico un interesse insistente ma mai sordido. Soprattutto, suscita costantemente una domanda: com’è possibile realizzare opere tanto complesse e perfette?
Questa seconda mostra di Ron Mueck presso la Fondation (la prima fu nel 2005) è un appuntamento prezioso proprio perché, per la prima volta, vengono mostrate la genesi e tutte le fasi di lavorazione delle sculture esposte, attraverso il documentario di cinquanta minuti girato dal fotografo Gautier Deblonde, Still Life: Ron Mueck at work. Le immagini scorrono per lo più senza dialoghi e in assoluto silenzio. Vi è, ogni tanto, solo il brusio della tv o della radio, a far compagnia a un artista solitario e al suo lavoro lento, meticoloso, minuzioso, quasi da orefice o da tagliatore di diamanti.
Vittorio Parisi
Parigi // fino al 29 settembre 2013
Ron Mueck
a cura di Grazia Quaroni
FONDATION CARTIER
261 boulevard Raspail
[email protected]
fondation.cartier.com
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