Hodler, simbolista (e simbolo) svizzero
Lui e le sue opere, che più svizzeri non si può. Effigiati e riprodotti su banconote e francobolli, passando per il bunker dello Swiss Federal Council, dove una copia di “Der Rückzug von Marignano” stava a simboleggiare e ribadire la posizione neutrale della confederazione, anche durante la Seconda guerra mondiale. Una mostra alla Fondazione Beyeler di Basilea.
Giustamente Sam Keller e Ulf Küster sottolineano come Ferdinand Hodler (Berna, 1853 – Ginevra, 1918) sia un elemento costitutivo dell’identità nazionale svizzera. E un suo studio – che troviamo anche in mostra – era appeso nell’ufficio di Hildy, moglie di Ernest Beyeler.
Proprio alla Fondazione Beyeler, nell’edificio magnifico disegnato da Renzo Piano, si è fatto il punto sulla figura di Hodler, approfondendone la portata politica e sociale in un incontro affollatissimo, e soprattutto si è ridato lustro alla sua opera di pittore. Ché paradossalmente il suo ruolo “pubblico” ne aveva ultimamente offuscato l’opera.
L’approccio curatoriale scelto è di taglio tematico, ma con una apertura biografica che comincia dalla fine. Si tratta di una serie di scatti realizzati il 18 maggio 1918 da Gertrude Müller, il giorno prima che il pittore morisse. Apertura per certi versi scioccante, che trova il proverbiale “carico” nella sala che raccoglie i ritratti dell’amante Valentine Godé-Darel, da uno ieratico mezzobusto del 1912 circa fino agli schizzi della medesima donna morente e poi morta, nel 1915: cinismo estremo, a prima vista, ma forse al contrario testimonianza d’amore trasmessa attraverso il mezzo nel quale meglio Hodler sapeva esprimersi.
Gli influssi e i richiami sono molti, da Cézanne a Sironi, e seguire l’evoluzione e le fissazioni di Hodler è un esercizio piacevole e istruttivo. Ad esempio nel trattamento della linea d’orizzonte nei suoi quadri sul lago di Ginevra, che divengono progressivamente sempre più essenziali fino a sfiorare l’astrazione (se non fosse per i titoli), con campiture che dai macchiaioli conducono a Rothko. Affascinante anche la serie degli autoritratti, in specie quelli compresi fra il 1912 e il 1917: se non si leggono le date, pare un lavoro di riflessione su di sé e sulla propria figura condotto nell’arco di decenni, con volti che invecchiano e si fanno rugosi. E invece si tratta di flash back e soprattutto flash forward.
Il pezzo dall’impatto più scenografico è quella Vista all’infinito (1913-16) che si sviluppa per oltre otto metri di lunghezza, con cinque figure femminili in pose plastiche e danzanti. Tela conservata perfettamente anche se arrotolata per anni, ha mantenuto una vividezza nei colori – anzi, del colore: il blu – che coglie di sorpresa. Icona che, nelle riproduzioni circolanti in tutti questi anni, pareva aver perso brillantezza. Un invito non programmato a tornare, talvolta almeno, all’origine e all’originale, magari per poi allontanarsene ancora di più, ma con negli occhi l’immagine corretta.
Marco Enrico Giacomelli
Riehnen // fino al 26 maggio 2013
Ferdinand Hodler
a cura di Jill Lloyd e ulf Küster
catalogo Hatje Cantz
FONDAZIONE BEYELER
Baselstrasse 101
+41 (0)61 6459700
[email protected]
www.beyeler.com
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