Nella sua dettagliata introduzione critica alla mostra, Bruno Corà ha richiamato il filosofo Raimondo Lullo, padre dell’arte combinatoria, come referente fondamentale per l’opera di Antoni Tàpies (Barcellona, 1923-2012). L’ermetica capacità di combinare, e nelle occasioni più riuscite “attivare”, elementi segnico-simbolici all’apparenza anche assai distanti tra loro pare in effetti motore primo dell’immaginario di Tàpies, un artista molto attento alle profondità delle superfici – da ricordare la sua dichiarata passione per le corrosioni e sovrapposizioni dei muri metropolitani – e capace in tal senso di anticipare/influenzare molta della contemporaneità successiva (fino a Basquiat almeno, tanto per ricorrere a un nome noto).
L’occasione espositiva romana riunisce una serie di lavori di periodi diversi, tra il 1960 e il 2006, accomunati dai supporti (carta o cartone) e soprattutto dall’approfondimento di una drammatica informalità visiva. L’impressione, di fronte ai lavori di Tàpies, è che l’artista passi attraverso l’immediatezza del gesto per giungere alla durata dei simboli (si pensi alla ricorrenza della croce nei suoi lavori, e del resto già nei primi anni sessanta il grande critico Lawrence Alloway parlava al proposito di una intensa evocazione dell’antico), non sempre riuscendovi: ma nell’inesausta ricerca realizzata verso un simile obiettivo e la serietà degli intenti risiede, del resto, una delle maggiori ragioni dell’importanza dell’opera dell’artista catalano.
Luca Arnaudo
Roma // fino al 25 maggio 2013
Antoni Tàpies
GALLERJA
Via della Lupa 24
06 68801662
[email protected]
www.gallerja.it
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