Manet mon amour!
L’incontro magico e inedito tra l’Olympia di Manet e la Venere di Urbino, tanto vicine eppure così lontane. La mostra, che segna il ritorno in laguna del pittore francese, tra i più criticati del suo tempo, celebra il successo planetario a circa 150 anni da quando la sua Olympia fu relegata in un angolo del Salon. A Venezia, negli spazi di Palazzo Ducale, fino al 18 agosto.
Dalle colonne della rivista La Revue du XXème siècle, 1867: “È un capolavoro. E non ritiro la parola. Il pittore ha operato come la natura stessa, per masse chiare, per larghi fasci di luce; la sua opera ha l’aspetto un po’ rude e austero della natura […] L’eterna vicenda dei talenti, prima sbeffeggiati poi ammirati fino al fanatismo, si riprodurrà anche per Édouard Manet. Egli avrà il destino dei maestri, come Delacroix e Courbet”. Firmato: Émile Zola. Il capolavoro di cui parlava era L’Olympia che, all’epoca dei fatti, fu accolto ferocemente dalla critica. Oggi, invece, è considerato un’opera straordinaria. Insomma, Zola aveva ragione: sia sul quadro, che sulla rivalutazione artistica di Édouard Manet (Parigi, 1832-1883). Partiamo da questo punto per tracciare il percorso che sfocerà nella mostra Manet. Ritorno a Venezia allestita negli spazi di Palazzo Ducale. Parliamoci chiaro: una mostra così su Manet non si vede tutti i giorni, infatti è una delle pochissime personali che l’Italia abbia mai ospitato. Sarò categorico: andateci! La mostra, voluta dai Musei Civici di Venezia in collaborazione con il Musée D’Orsay di Parigi, conta ottanta quadri (tra gli altri, Le fifre, una copia di Déjeuner sur l’herbe, Le balcon, Portrait de M. et Mme M e Berthe Morisot au bouquet de violettes), non tutti di Manet. Troverete anche opere del Carpaccio, di Tiziano, di Antonello da Messina, di Guardi.
La domanda sorge spontanea: come mai opere rinascimentali italiane sono abbinate a quadri pre-impressionistici? Risponde il curatore Stéphane Guégan: “L’obiettivo dell’esposizione è correggere la visione secondo la quale Manet sarebbe influenzato solo dai pittori spagnoli, Velasquez e Goya in primis; e vuole dimostrare che, ancor prima, il suo tratto si ispirò a Tiziano e all’arte italiana del Cinquecento”. Apriti cielo. La tesi non è certo nuova, semmai originale è stata l’idea di accostare L’Olympia di Manet con la Venere di Urbino di Tiziano. Un tripudio di bellezza, commovente e magico. Per la prima volta le due donne, la prostituta e la nobildonna, sono una vicina all’altra (tale accostamento si è potuto vedere solo sui libri di storia). Un confronto storico tra due modernità, tra due icone universali. Entrambe ci guardano negli occhi e il loro sguardo è insostenibile. Ciò che spiazza, poi, è la tranquillità che scorre tra le due donne: non c’è conflitto, non c’è astio; convivono perfettamente nella stessa stanza. Non serve aggiungere altro, solo questa sezione vale il prezzo del biglietto. Forse un dettaglio: L’Olympia è la prima volta che lascia la Francia – e forse anche l’ultima – e l’autorizzazione all’espatrio è stata firmata dal Presidente della Repubblica francese. Promulgata, si direbbe in Italia. Al pari di una legge. Anche la Venere di Urbino, conservata negli Uffizi di Firenze, ha necessitato della pressione del sindaco di Venezia Orsoni. Questo fa capire l’importanza dei due quadri, e la difficoltà con cui l’esposizione è stata concepita.
C’è da notare, ragionando al di fuori della mostra, che la fondazione Musei Civici veneziani sotto la guida Gabriella Belli (dal 2011 al timone) ha ingranato la marcia: prima una personale su Francesco Guardi (che mirava alla rivalorizzazione del lavoro dell’artista veneziano), poi Klimt e infine il ritorno in laguna di Manet (senza dimenticare la mostra su Antoni Tapìes che si inaugurerà il primo giugno a Palazzo Fortuny). “La mostra ha i suoi punti forti e deboli”, dice il curatore, “ad esempio, oltre alla sala Venere, un punto forte è il dialogo tra il celebre Bel masqué à l’Opèra, in cui aleggia la presenza veneziana, e il Ridotto di Francesco Guardi, di cui il primo pare echeggiare i temi degli amori mascherati e del gioco ambiguo”. Notevoli, dunque, sono i vari accostamenti tra la pittura di Manet e quella rinascimentale da cui, come già detto, si è ispirato durate i suoi primi viaggi a Venezia (1853 e 1857): Le Balcon e le Due dame veneziane di Carpaccio oppure Il ritratto di Zola e quello del Giovane gentiluomo di Lorenzo Lotto. Certo, le assonanze maggiori si vedono tra L’Olympia e la Venere di Urbino (identici sono la posa e l’ambientazione, ma anche il materasso, le lenzuola piegate e la tenda di sfondo). Anche l’allestimento, curato da Daniela Ferretti, ha ragion d’essere: le pareti violacee si sposano benissimo con il contesto sacro e regale della mostra e del luogo in cui è ospitata. Poco prima di congedarci il curatore ci svela una coincidenza: “Proprio mentre Manet è a Venezia con i suoi italianismi, il veneziano Giacomo Casanova è entrato a far parte della prestigiosa collana Bibliothèque de la Pléiade”. La mostra su Édouard Manet rimarrà aperta fino al 18 agosto, poi l’Olympia e la Venere di Urbino torneranno rispettivamente ai loro posti: un addio o solo un arrivederci?
Paolo Marella
Venezia // fino al 18 agosto 2013
Manet. Ritorno a Venezia
PALAZZO DUCALE
San Marco 1
041 8520154
www.mostramanet.it
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