Dici natura morta e pensi al quadretto di maniera con il piattino, le noci e la mela bacata. Poi incontri i lavori di Paolo Peroni (Cuggiono, 1984) e l’immaginario si riassesta su un intrigante e ammiccante doppio senso: perché nel caso suo la natura muore in senso letterale, trovando nell’apologia dell’ultimo respiro un atto di orgogliosa coscienza. Non possono sradicarsi e fuggire gli alberi, condannati al cemento e alle polveri sottili; così si ammalano, quasi potessero preferire scientemente un destino rapido benché doloroso, invece di uno stillicidio prolungato. Il calco delle cortecce malate, molle come orologi di Dalí, aggiorna con originalità il filone che guarda al volto barbaro e cancerogeno dell’uomo. Che si organizza e si dispone nell’ambiente seguendo tacite e implicite connessioni neuronali: straordinaria la sovrapposizione delle piante di insediamenti tribali con il profilo di cellule semplici, con case e recinti a confondersi tra mitocondri e citoplasmi. Fotografia di una civiltà metastatica, che prolifera nell’apparente disordine di uno sfacelo programmato.
Francesco Sala
Milano // fino al 24 maggio 2013
Paolo Peroni – Rottura spontanea di simmetria
SCATOLABIANCA
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