Weegee, il delitto come arte
Più di cento immagini del fotografo di “nera” diventato famoso per i suoi crudi ritratti di cronaca. Sguardi senza pietà e senza condanna sul mondo della mala americana degli Anni Trenta. Weegee a Palazzo Magnani, Reggio Emilia, fino al 14 luglio.
Susan Sontag definisce il fotografo come un cacciatore armato. Ebbene, Weegee (Zloczew, 1899 – New York, 1968) va ben oltre la figura del cacciatore e suggerisce quella del ladro, del carnefice, del vampiro. Sorprende con il flash dell’ingombrante Speed Grafic le sue vittime inconsapevoli. Il suo è il gesto furtivo di chi conta su una condizione di vulnerabilità irreversibile: un incidente stradale, un incendio devastante, un sonno profondo. Il regno è quello della notte, che rispecchia la notte profonda che sta vivendo l’America negli anni della Grande Depressione.
Weegee il vampiro, sintonizzato sulle lunghezze d’onda della polizia, riesce sistematicamente a essere il primo, privilegiato testimone del “misfatto” appena consumato. Anzi, dalle foto si ha l’impressione che sia stato lui ad architettare l’omicidio, a disporre il cadavere sulla strada e che subito si sia messo in disparte per fotografare da estraneo la scena. Nessuna condanna e nessuna assoluzione, nelle sue intenzioni. Guarda come solo gli dei guardano: senza pensare al bene o al male. Guarda. Dentro il destino di altri che sente vicino al proprio. In fondo, la sua, è la carriera di uno scapestrato, degno delle bande di New York, che dal Lower Est Side, il ghetto degli emigranti (lui è austriaco), scala piano piano i palazzi del giornalismo, pur restando sempre free e controcorrente.
A prima vista, le sue possono apparire come fotografie di reportage riuscite terribilmente male. In realtà l’uso del flash gli serve per scavare nell’oscurità e cogliere una inattesa perfezione formale. “Uso la luce di taglio, alla Rembrandt, perché non si veda troppo sangue”, dice. Così, la fotografia non si limita a sorprendere esseri notturni e senza nome, va al di là dei corpi morti, addormentati, allacciati in un amplesso. Ad affascinare è il vuoto, il non detto. Anche il suo vero nome non è Weegee, ma Arthur H. Felling: Weegee richiama una tavola per sedute spiritiche (ouija) ed evoca la sua facoltà di sentire quello che deve ancora accadere, con il tipico istinto dell’animale che avvista più con il fiuto che con gli occhi.
Un centinaio sono le foto originali presentate a Palazzo Magnani, accanto alle riproduzioni degli interni della Photo League (dove nel 1941 Weegee espone per la prima volta) e alla ricostruzione parziale del suo stesso studio. Non mancano alcuni touchscreen in cui il visitatore può esasperare “i protagonisti” e renderli indimenticabili, facendo proprie le parole dell’artista: “Murder is my business”, la frase che dà il titolo all’intera mostra.
Luigi Meneghelli
Reggio Emilia // fino al 14 luglio 2013
Weegee – Murder is my business
a cura di Brian Wallis
Catalogo Giunti
PALAZZO MAGNANI
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