Juan Downey. Evoluzione di un’utopia
Il Museo d’Arte Contemporáneo Rufino Tamayo presenta al pubblico messicano un’amplia retrospettiva di Juan Downey. Pioniere dell’arte cibernetica nonché della ricerca sociologica ed etnografica attraverso l’utilizzo della videoarte. Nella capitale, fino al 25 agosto.
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Nonostante l’omaggio dedicatogli dalla Biennale di Venezia nel 2001, sono poche le mostre che hanno raccontanto, con tanta precisione e volume, le innovatrici creazioni di Juan Downey (Santiago del Cile, 1940 – New York, 1993). Il mondo olistico del creatore sudamericano è sorprendente; nella retrospettiva, installazioni, sculture, documentari, fotografie e moltissimi disegni e bozzetti ne ricostruiscono il processo d’analisi, rivelando anticipazioni del pensiero contemporaneo.
All’inizio dell’esposizione le prime animazioni di Downey mostrano l’interscambio energetico tra gli esseri viventi e le macchine; sono performace in cui i ballerini danzano nello spazio delimitato da onde elettromagnetiche (Videodances, 1974) o dove alcune persone producono onde alfa, alterando il segnale dagli schermi che ne inquadrano il volto (Plato Now, 1973). C’è anche la ricostruzione di una scultura elettronica (Against Shadows, 1970): le dinamiche di feedback sono innescate dal visitatore.
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Juan Downey, Videodances, 1974
La poliedrica attività dell’artista, elaborata per la maggior parte a New York ma con chiare radici latine, è illustrata dai celebri documentari sulle comunità indigene filmati durante i viaggi in America centromeridionale (Video Trans Americas, 1973-76). L’esperienza con gli Yanomani della foresta amazzonica è esemplificata nell’installazione Círculo de Fuego: la disposizione degli schermi simboleggia la casa comune, riflesso dell’identità e dell’organizzazione sociale dove, come confermano i video (Retroalimentaciones en el Amazonas, 1976-1977), ogni membro ha un ruolo di responsabilità nei confronti della collettività e dell’ambiente. In queste ricerche antropologiche l’osservazione partecipante mette in dubbio la legittimità dello sguardo eurocentrico, perché dimostra l’integrazione dell’esperienza estetica con la vita manifesta in altre culture.
A partire dalle reazioni degli aborigeni alla tecnologia, Downey studierà in che modo il mezzo videografico influisce nell’espansione della conoscenza umana. Di quest’ultimi decenni sono proposti studi semiotici sulla struttura delle trasmissioni televisive (The Thinking Eye, 1974-1989) che, forzando i limiti del genere documentario, fanno emergere i livelli di significazione presenti in qualsiasi discorso. Con essi il “comunicatore culturale e antropologo estetico” analizza i conflitti della società occidentale, soprattutto il cambio della percezione identitaria derivato dalla rappresentazione mediatica e dalla cultura di massa.
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Juan Downey, Mediations, 1976-77
Nella retrospettiva messicana è evidente l’idealizzazione che il creatore cileno percepiva nell’utilizzo del video; la possibilità d’una nuova comunicazione viene ricordata al visitatore che, come il soggetto delle opere dawneyane, è ubicato al centro dell’attenzione, così verificando la reciprocità esistente con ciò che lo circonda: le macchine, la natura, fino ai segni più quotidiani o alle impercettibili energie.
Romina Viggiano
Città del Messico // fino al 25 di agosto 2013
Juan Downey – Una utopía de la comunicación
Museo Tamayo
Paseo de la Reforma 51
+52 (0)5255 52866519
www.museotamayo.org
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