Tre mostre animano fino al 21 luglio l’estate del Mac, in attesa della Biennale di Lione che aprirà a inizio settembre. Gli spazi del museo sono pensati per essere riadattati a ogni mostra. Ma Daniel Firman (Bron, 1966; vive a Parigi), protagonista di una personale, li rivoluziona più del solito: apre varchi nel soffitto per un’installazione da guardare naso all’aria, appende per la proboscide un elefante in vetroresina a grandezza naturale (la sua opera più famosa) e soprattutto crea un gigantesco palcoscenico invisibile, forse la migliore invenzione della mostra.
Una delle stanze più grandi è infatti occupata da una struttura in cui non si può penetrare, solo camminarci attorno. Dall’interno si sentono rumori ora attutiti ora più forti, che fanno pensare a urti dolorosi: sono passi di danza di ballerini che si esibiranno per tutta la mostra, celati agli occhi ma non all’udito del pubblico.
Il resto della mostra è un caleidoscopio di invenzioni, tra surrealtà e sottile inquietudine: lavatrici che ruotano su se stesse, manichini iperrealisti in cui ci si imbatte d’improvviso, e, all’ultimo piano, giradischi e bicchieri di birra che ruotano e chitarre che vorticano su se stesse, producendo distorsioni alla Metal machine music di Lou Reed. Come dopo un improvviso cortocircuito, gli oggetti sembrano ribellarsi, sfidando le normali leggi meccaniche che li regolano, e i corpi si impegnano in esercizi tesi a ridefinire, a costo di evoluzioni dolorose, il confine tra il sé e il mondo esterno.
Più sommessa ma altrettanto spettacolare l’arte del protagonista dell’altra personale, Philippe Droguet (Roussillon, 1967; vive a Feillens). Qui il tratto distintivo è l’ibridazione, tra organico e inanimato, tra materiali artificiali e naturali, tra oggetti ed esseri viventi. Un mondo popolato da esseri di nuova generazione, scrivanie fatte di budella animali, vasche da bagno con aculei da riccio di mare, panni e cuscini che sembrano esseri senzienti, vegetali e animali fatti di stecchini di legno, teschi animali, conchiglie e strane forme, come mammelle che spuntano dalle pareti.
La terza mostra è un riassunto della storia del Mac tramite opere della collezione acquisite negli anni chiave della storia del museo. Ecco l’enorme scultura di Anish Kapoor, le foto ornitologiche di Jean-Luc Mylayne, gli orizzonti astratti di Hiroshi Sugimoto, Les aveugles di Sophie Calle, oltre a opere di Carsten Höller, Thomas Schütte, Olivier Mosset, Steven Parrino, tra gli altri.
Stefano Castelli
Lione // fino al 21 luglio 2013
Daniel Firman – La matière grise
Philippe Droguet - Blow up
Pour mémoire: œuvres de la collection
MAC
81 quai Charles de Gaulle
+33 (0)4 72691717
www.mac-lyon.com
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