An Americana o Anamericana? La prima suggestione della collettiva di artisti che vivono e lavorano negli Usa, in mostra all’American Academy di Roma, è proprio nel titolo Anamericana che, come spiega il curatore Vincenzo de Bellis, “può essere letto sia come un articolo determinativo ‘an’, appunto, che come un privativo, dove ‘ana’ nega la parola che segue, quindi o un americana o una non americana”. Qualcosa di questo gioco di parole rimane nella collettiva, dove i temi e le poetiche degli artisti rincorrono il patriottismo e il positivismo americani anche con una certa e fredda distanza.
La mostra, organizzata in collaborazione con l’istituto che la ospita, dalla Depart Foundation con le migliori tra le sue recenti acquisizioni, ha un fascino un po’ nostalgico che si arricchisce per la bellezza della sede e l’ottimo allestimento delle opere. Quaranta lavori di 31 artisti che vivono e lavorano in America accompagnano il visitatore attraverso diversi spazi dell’accademia che domina il Gianicolo. Dalle scale d’ingresso all’esterno fino al piano inferiore passando per una sala al primo piano. Dipinti e opere materiche, grafica, animazione, sculture, installazioni e video per una rassegna che illumina, attraverso quattro generazioni di artisti, frammenti di universi made in Usa firmati tra gli altri da due grandi artisti come Ed Ruscha e Mike Kelley. Cinque le opere che colpiscono particolarmente. La prima è all’esterno: Supermax Wall (2006) di Sterling Ruby. Diversi materiali per un’opera che rimanda anche nel titolo alle carceri di massima sicurezza chiamate Super maximum security prison, collage, pittura, scultura per ricordare di un conflitto tra le pulsioni individuali e i meccanismi di controllo sociale.
Sempre all’esterno, nell’arco centrale del portico d’ingresso, dal quale normalmente si scorgerebbe la fontana posta in mezzo al chiostro e che aprirebbe al punto di fuga del giardino dell’accademia, è collocato Wall (2009) di Oscar Tuazon. Materiali industriali grezzi come acciaio, silicone, plexiglas e vernice sono composti e collegati tra loro da una struttura geometrica modulare che ricorda una parete sfondata, chiusa alla vista ma che si vuole aprire. Al piano inferiore, ecco la frutta con Fruit and vegetables di Darren Bader. Venti elementi tra ananas, mele, peperoni, finocchi e altre specie verdi sono poste su altrettanti piedistalli di legno e troneggiano lungo un corridoio. Un’opera commestibile che alla fine della mostra diventerà insalata, come si legge nella didascalia.
Su tutto però colpisce il video di Takeshi Murata, omaggio a Braccio di Ferro e a Chaplin, dove il povero Popeye depresso è dipendente di una fabbrica di spinaci, va a trovare Bruto in ospedale e Olivia al cimitero, poi mangia una scatola di spinaci e si impicca. Onirico, poetico, geniale. E poi le opere di Ed Ruscha, artista poliedrico che con la fotografia qui presenta Rooftops, una serie di scatti di tetti di Los Angeles originariamente concepita nel 1961 e ristampata nel 2004 in una edizione limitata. La rassegna si chiude con Cowboy Snowman (2005) di Mike Kelley, una delle più influenti figure dell’arte contemporanea americana, che in quest’opera rappresenta in modo molto semplice e quasi infantile, a metà tra l’ironia e l’idolatria, la fusione di due figure tipiche della cultura americana: il cowboy e lo snowman.
Geraldine Schwarz
Roma // fino al 14 novembre 2013
Anamericana
a cura di Vincenzo De Bellis
AMERICAN ACADEMY
Via Angelo Masina 5
06 58461
[email protected]
http://www.aarome.org/
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