Alfredo Jaar: poema per una rivoluzione mancata

Fondazione Merz, Torino - fino al 9 marzo 2014. L’artista cileno porta in Piemonte alcuni dei suoi temi chiave. L’azione politica, l’arte come cambiamento radicale, il dialogo con i grandi maître à penser della storia. Tra nostalgie rivoluzionarie e domande sul presente.

Ha fatto centro, Alfredo Jaar (Santiago del Cile, 1956), col suo progetto per la Fondazione Merz. Una mostra che, al netto di immagini e topoi diffusi – macerie, utopie, rivoluzioni -, ha trovato la giusta dimensione. Varcata la porta, subito un inabissamento: camminare su un tappeto di pezzi di vetro, lungo tutto l’ambiente. Nelle orecchie un rumore ruvido, sotto le suole l’idea del pericolo, da sfidare. Tutt’intorno frammenti di Boetti, Gramsci, Pasolini, Klein, Penone, Kosuth. Le opere degli altri come le proprie, nei termini di un’appropriazione sentimentale e concettuale. E poi Pinochet, la guerriglia sandinista, l’arte come sovversione, l’avventura dello spirito e la libertà del popolo.
In una stanza c’è un lago d’inchiostro nero petrolio, su cui si specchiano parole a neon. Sciopero generale azione politica relativa proclamata relativamente all’arte (1970): guardarci dentro per ritrovare Mario Merz, capovolto. Qui la scultura si fa riflesso, perdendo peso in nome dell’essenza volatile della parola. Laggiù, nell’illusione di un nero senza misura, si mira all’origine: della storia, del conflitto, del linguaggio.

Alfredo Jaar, Magician, 1979 - Courtesy of the artist, New York and Galleria Lia Rumma, Milano

Alfredo Jaar, Magician, 1979 – Courtesy of the artist, New York and Galleria Lia Rumma, Milano

Ma questo viaggio tra ricordi e accumulazioni altro non è che una riflessione sul rapporto tra passato e presente, sotto l’effigie malinconaica della mitologia rivoluzionaria. Il grande neon bianco e rosso, che riporta il titolo di un libro di Cohn-Bendit, riapre questioni mai sopite: Abbiamo amato tanto la rivoluzione. Che ne è della sete di cambiamento che ci guidò, che ci raccontò, che ci fece sognatori e militanti? Jaar, col suo bagaglio di artista combattente tra gli Anni Settanta e Ottanta, combina il senso di sconfitta con la voglia di crederci ancora. Per le nuove generazioni, che oggi calpestano quei cocci, l’impatto è differente. Portatrici insane di disimpegno, spettatrici di una caduta progressiva – morale, politica, culturale -, procedono a tentoni, alla fine del tempo. E la rivoluzione, nel mentre, è bella che andata. Con le sue degenerazioni ideologiche, ma anche con le sue impalcature ideali.
In questa scatola delle utopie, Jaar ci ha messo anche dei versi. Bianchi, accesi, come un sussurro o un sussulto. M’illumino d’immenso. Ungaretti la scrisse nel 1917. C’era la guerra. E lui partoriva questa microscopica magnificenza, che in una riga ha tutta la luce del mondo, di Dio, del futuro. Abbacinante. Poesia che salva, agganciandosi a un’attualità disperata che è in cerca di un’inversione. Non più sulle orme di una rivoluzione, ma forse all’alba di un tempo ribelle. La dissidenza, dopo la fine della fine. Chissà.

Helga Marsala

Torino // fino al 9 marzo 2014
Alfredo Jaar – Abbiamo amato tanto la rivoluzione
a cura di Claudia Gioia
FONDAZIONE MERZ
Via Limone 24
011 19719437
[email protected]
www.fondazionemerz.org

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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