La mostra palermitana di Francesco Clemente (Napoli, 1952; vive a New York e Madras) costituisce un’occasione significativa per fare il punto sulla traiettoria complessiva sin qui seguita dall’artista, aiutati in tale esercizio dallo spirito del luogo. Mentre si percorrono i saloni sontuosi della mostra, in effetti, non è possibile dimenticare la bellezza disarmante e in disarmo della città intorno, Palermo, che nella sua eccedenza meridiana risuona con le origini napoletane dell’artista. Di luoghi del genere si nutre l’opera di Clemente – vedi il suo ulteriore rilancio sull’India – sfruttandone le stratificazioni culturali e visive per definire un proprio sincretismo, genuinamente opportunista.
Nel testo in catalogo di Francesco Gallo Mazzeo si legge che nella sua maniera creativa “tutto si tiene, come in una lunga teoria che può anche concedersi delle soste, ma non smette di cercare”. Ecco, proprio questo tenere tutto – la teosofia col Barocco, Egon Schiele con la ritrattistica tardo-egizia, le miniature indiane con la Pop Art americana, Khrisna e San Gennaro – è ciò che sopraffà, prima ancora che indisporre, in Clemente. Non si tratta di un giudizio di condanna, piuttosto della presa d’atto che un simile assemblaggio è effettivamente possibile, sempre in bilico tra sovrana leggerezza e superficialità, fusione e confusione: non pare un caso, del resto, che una sua serie di pitture s’intitoli Tandoori Satori, quasi una risposta giocosa al ben più introverso shaman/showman dell’amico Alighiero Boetti.
Quanto al profilo operativo, Clemente conta su una paletta di colori assolutamente personale, dai contrasti spesso azzardati ma che di nuovo non di rado mirabilmente “funzionano”, in particolare quando sostenuti da una più confortevole matericità di supporti e pigmenti.
Difficile, in conclusione, trarre conclusioni: di fatto, una parabola artistica come quella di Clemente non pare fatta per raggiungere o farsi concentrare in un punto definitivo, proseguendo piuttosto lungo un’infinita, edonistica accumulazione d’immagini e piaceri visivi (esemplare, in tal senso, l’opera-rete Captive pleasures scelta per la comunicazione dell’evento palermitano). Molto suggestivo, e questo è almeno un dato acquisito della visita, il dialogo instaurato da alcune opere più labirintiche con i vecchi pavimenti in ceramica di Palazzo Sant’Elia, fra l’altro piacevolmente rieccheggiante l’intervento Ab Ovo di qualche anno fa al Madre di Napoli.
Luca Arnaudo
Palermo // fino al 2 marzo 2014
Francesco Clemente – Frontiera di immagini
a cura di Achille Bonito Oliva
PALAZZO SANT’ELIA
Via Maqueda 81
091 8887767
[email protected]
www.francescoclementepalermo.it
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