Una banana è un frutto, è ovvio. E un parrucchino argentato sopra la polpa di una banana sbucciata? Che diamine, l’esatta caricatura pop di Andy Warhol. Quadro eseguito da Basquiat in epoca di piena osmosi empatica con il guru dell’arte americana. Due vite parallele, nonostante tutto.
Certamente una messinscena lo scatto di una finta sfida a suon di cazzotti. Jean-Michel Basquiat (New York, 1960-1988) neutralizza facilmente un debole montante sinistro di Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987) e nel medesimo istante centra – fingendo – il mento del suo avversario con un destro: un colpo da k.o. se portato con potenza. Tuttavia, il documento fotografico in chiave pugilistica rivela qualcosa di autentico del rapporto amichevole e artistico che i due personaggi intrattengono da oltre un paio d’anni. La foto, opera di Warhol, fu scattata nel 1985, e c’è da ipotizzare che l’artista cinquantasettenne volesse vestire – metaforicamente – i panni dello sparring partner per saggiare la forza del “boxer” emergente.
Comunque sia, la vita di Warhol, nonostante l’aura di celebrità e di distacco, non fu più la stessa dal momento in cui conobbe il giovane artista afro-americano. Da lui si lasciò persino, e sul serio, condurre ad allenarsi in una palestra di boxe; ecco perché la foto di un virtuale match pugilistico non nasce casualmente, guadagnando in verosimiglianza in virtù dell’equipaggiamento tecnico Everlast, un marchio canonico nel mondo del pugilato. C’è molta astuzia nel contenuto tematico di quest’opera fotografica che fa da manifesto alla mostra intitolata Warhol-Basquiat, pur nelle modeste dimensioni di un formato d’origine 20x25cm. E non senza un richiamo ai capolavori di almeno due storici giganti dell’arte come Lisippo e Canova.
Vite parallele quelle di Basquiat e di Warhol, secondo il curatore della mostra Florian Steininger. Quando l’uno viene al mondo, ed era il 1960, dell’altro nel giro di un anno vengono alla luce le prime opere pop. E così anche nella fatalità non ineluttabile delle rispettive morti c’è una vicinanza di date, 1987 Warhol e 1988 Basquiat. Ineluttabile, invece, in una New York in continuo fermento esistenziale, l’incontro dell’artista ricco e navigato, diventato un po’ troppo apatico, e un artista giovane, un esponente della sottocultura, un talento “da strada”, irrequieto, imprevedibile, smanioso di successo. Dal 1983, i due cominciano a frequentarsi passando molto tempo insieme, finendo per dipingere perfino sulle medesime tele, ma ognuno a modo proprio. Una strategia incoraggiata dal lungimirante gallerista/collezionista Bruno Bischofberger, un uomo chiave di quel rapporto. Per intenderci, costui è il personaggio che nel bel film di Julian Schnabel, intitolato Basquiat, viene interpretato dall’attore Dennis Hopper, con accanto un David Bowie, magistrale personificazione dell’indiscussa icona pop dell’art system mondiale.
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Franco Veremondi
Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…