Pare che a Roma il Tesoro ci fosse già stato quando, durante la seconda guerra mondiale, fu portato in Vaticano (per poi tornare a Napoli nel 1947), da Giuseppe Navarra, soprannominato o’Re di Poggioreale, che dopo un viaggio avventuroso lo consegnò nelle mani dell’allora arcivescovo Alessio Ascalesi. Il corpus arriva alla Fondazione Roma Museo Palazzo Sciarra in una mostra organizzata dalla Fondazione stessa in collaborazione con il Museo del Tesoro di San Gennaro; insieme al patrimonio orafo sono in mostra anche documenti originali, dipinti, sculture, disegni e arredi sacri allestiti a cura di Paolo Jorio, direttore del Museo napoletano e Ciro Paolillo, docente di gemmologia dell’Università La Sapienza di Roma.
Considerato più importante di quello degli zar e della Regina d’Inghilterra, il Tesoro è assolutamente unico nel suo genere. Sette secoli di storia, donazioni di papi, imperatori, re, nobili e persone comuni raccontano la storia del culto di un Santo venerato da venticinque milioni di persone. San Gennaro è il santo più famoso del mondo e si riconosce perché è sempre rappresentato da due ampolle che contengono il suo sangue. Si narra infatti che quando fu decapitato, Eusebia, la sua nutrice, raccolse il suo sangue e lo conservò in ampolle di vetro. Un culto che solo Napoli sa esprimere, in un sentimento a doppio filo tra devozione e pregiudizio, paura e fede. Il tesoro è arrivato intatto fino ai giorni nostri grazie alla Deputazione della Real Cappella del Tesoro, un’organizzazione laica nata nel 1957 e attiva ancora oggi, formata da dodici famiglie che rappresentano gli antichi Sedili di Napoli.
Insieme agli argenti, una collezione impressionante che va dal 1305 ai giorni nostri, alcuni dei pezzi più significativi, come la Collana di San Gennaro in oro, argento e pietre preziose, realizzata da Michele Dato nel 1679, e la Mitra in argento dorato con 3326 diamanti, 164 rubini, 198 smeraldi e 2 granati commissionata da Carlo II d’Angiò al maestro orafo Matteo Treglia nel 1713 e intrisa di significati. Lo smeraldo rappresentava l’unione della sacralità del Santo all’eternità e al potere, i rubini il sangue dei martiri e i diamanti il simbolo della fede inattaccabile. Impressionante l’esercito di Santi in argento, come il San Michele Arcangelo con la spada sguainata.
Uno spettacolo che lascia a bocca aperta non per il pensiero del valore economico, ma per un effetto di vera e propria meraviglia. L’impressione è di aver avuto accesso alla scoperta, all’incontro più tipico che si ha con un tesoro: tutto brilla, tutto sembra più grande e per questo inaccessibile. Insieme al tesoro divino compare, nelle foto di artigiani napoletani al lavoro, il tesoro umano fatto di cultura, abilità artigianale e passione. La tradizione orafa napoletana rappresenta ancora oggi uno dei punti di forza di una parte dell’Italia considerata improduttiva: la filiera campana del gioiello conta sulle botteghe storiche del Borgo degli Orefici, vero e proprio centro di quest’attività dall’epoca angioina, ma anche su centri di sperimentazione come il Tarì di Marcianise.
Napoli è stato uno dei centri più importanti d’Europa nella lavorazione artistica dell’oro e dell’argento, nel XIII secolo una delle prime corporazioni fu proprio quella della “Nobile arte degli orefici”, e la mostra permette di vedere da vicino capolavori nati dalle mani di artisti che hanno fuso, cesellato, inciso e dorato l’argento, tagliato e incastonato le pietre più preziose portando quest’arte a livelli mai raggiunti.
Clara Tosi Pamphili
Roma // fino al 16 febbraio 2014
Il Tesoro di Napoli
FONDAZIONE ROMA MUSEO – PALAZZO SCIARRA
Via Minghetti 22
06 697645599
[email protected]
www.mostrasangennaroroma.it
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