Composta in un ambiente unico, stretto e lungo, l’antologica di Tino Stefanoni (Lecco, 1937) riesce ad articolare, con gran senso estetico, in poche e chiare battute, un percorso cronologico suggerito ma non imposto. L’organizzazione dello spazio attraverso una serie di semplici setti restituisce un colpo d’occhio d’insieme dai toni bianchi, neri e crema, per poi aprirsi al colore in piccoli vani con le opere più appariscenti, tenute appositamente schermate così da non interferire con le tinte neutre di alcune chicche presenti in mostra.
Riflessi, Memorie, Apparizioni sono alcuni dei titoli delle opere in mostra che ben incarnano il carattere fortemente evocativo dei lavori di Stefanoni. In alcuni di essi sembrano essere proprio i ricordi a imprimersi sulla tela, come le immagini ottenute con il tratto incerto della carta copiativa o della matita sull’acrilico.
Segnali stradali regolamentari è un’operazione condotta nel 1969-70, antesignana di quella visibile nei cartelli stradali modificati ad arte, presenti in numerose città del mondo. Da questo singolo lavoro hanno preso vita le Piastre guida per la ricerca delle cose: sagome di oggetti, impresse a smalto su lastre di ferro zincato, per orientarsi nella vita quotidiana.
Gli oggetti di uso comune sono presenti in tutta l’opera di Stefanoni, richiamando fortemente gli echi della Pop Art, ma in realtà, per il grado di intimismo lirico che riesce a raggiungere, il suo lavoro si insinua in un filone più prossimo a quello dell’Arte concettuale.
Le opere più note dell’artista, quei Senza titolo che elabora dal 1984 in poi, sono presenti in coda al percorso espositivo. Acrilici su tela dalle dimensioni fisse e prodotti sempre con la stessa tecnica pittorica, a partire dal nero dato sul fondo, procedendo via via con la stesura dei colori più chiari, fino ai bianchi tremuli sui volumi più in luce. Sono in prevalenza paesaggi notturni che sembrano crepuscolari anche quando evocano scene diurne, prodotti con una tecnica coloristica inversa a quella dell’acquerello, ma che ne ripropone un analogo sfumato.
La sintesi estetica in bianco/nero degli ultimi anni, racchiusa nel lavoro delle Sinopie, propone la stessa tecnica coloristica applicata alla bicromia: è la campitura bianca a definire il tratto nero che affiora dal fondo. Rafforzano il senso di grande silenzio, che aleggia in maniera costante, alcuni piccoli bronzi in mostra, nei quali si concretizzano, come in piccole maquette, i paesaggi onirici di Stefanoni, caratterizzati dalla totale assenza di esseri umani, ma pieni di oggetti costruiti dall’uomo.
Giovanna Procaccini
Milano // fino all’11 gennaio 2014
Tino Stefanoni – L’enigma dell’ovvio
a cura di Valerio Dehò
CREDITO VALTELLINESE
Corso Magenta 59
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