Anni Settanta. Una mostra intelligente al Palazzo delle Esposizioni di Roma

Una mostra di grande intelligenza, capace di rendere le tensioni di un decennio tra i più vivi e confusi dell'arte contemporanea. Prendendo Roma come instabile quanto privilegiato osservatorio. Ancora su “Anni ‘70”, in scena al Palazzo delle Esposizioni della Capitale fino al 2 marzo.

Nel suo saggio Oltre il Brillo Box. Il mondo dell’arte dopo la fine della storia, Arthur Danto ha reso un’immagine efficace dell’arte negli Anni Settanta, rilevando come la mancanza di grandi teorie sostitutive di quelle dominanti fino agli Anni Sessanta avesse dato agli artisti del decennio successivo “l’impressione che quello che facevano fosse marginale, mentre in realtà non c’erano altro che margini”. La mostra romana rintraccia alcuni di tali margini, riorganizzandoli intelligentemente in spazi distinti, come attrattori di forze/velleità per ordinare un discorso curatoriale compiuto.
Il merito, notevole, è di colmare così un vuoto (se non critico, quantomeno) espositivo in relazione a un periodo che la distanza temporale sta contribuendo a rivelare come snodo fondamentale per comprendere il percorso dell’arte nel Novecento: un’arte stretta tra il non più dell’entusiasmo liberatorio degli Anni Sessanta e il non ancora di una funzionalizzazione al design e allo star system speculativo degli Anni Ottanta, con un’imprevebilità di traiettorie e difficoltà di tracciabilità che trova una rappresentazione felice negli spostamenti quotidiani della barra di André Cadere negli spazi del Palazzo delle Esposizioni.

Francesco Clemente, Senza titolo, 1971 - Fotocopia su carta, cm 27,9 x 24,1 - Collezione dell’artista

Francesco Clemente, Senza titolo, 1971 – Fotocopia su carta, cm 27,9 x 24,1 – Collezione dell’artista

Più di duecento opere di oltre cento artisti, italiani e stranieri transitati per Roma nel corso di un decennio e ora rievocati in mostra, sono evidentemente impossibili da sintetizzare in poche righe: proviamo dunque ad assolvere i compiti recensori dando atto in primo luogo di uno sforzo documentale rimarchevole – in apposite teche si ritrovano fin gli inviti e i pieghevoli delle principali mostre del tempo – e poi segnalando l’idea che ci è parsa più di fondo dell’intera operazione: gli Anni Settanta come porto franco per un’immaginazione condizionata da ideologismi anche ingombranti e massimalismi spesso superficiali, ma insieme lanciata verso orizzonti genuinamente smisurati, vibranti di una forza creativa collettiva poi dissoltasi nell’individualismo edonista successivo.
In un decennio di ricerca e dissipazione, grazie prima di tutto a un fronte d’intellettuali e galleristi-collezionisti visionari (cosa si penserebbe ora di una galleria come Arteper, fondata per finanziare un movimento della sinistra extraparlamentare?), Roma ha saputo farsi scena aperta della migliore arte internazionale senza per questo perdere il contatto con una creatività visceralmente locale. Certo è che un simile connubio di teatro-mondo e strapaese non sarebbe mai potuto avvenire senza l’attivismo di agitatori culturali come Achille Bonito Oliva (molto interessante la sua intervista-amarcord in catalogo) o alchimisti critici come Maurizio Calvesi e Alberto Boatto, il che ci riporta alla funzione catalizzatrice della critica di fatto preconizzata da Danto.

Gino De Dominicis, Il tempo, lo sbaglio, lo spazio, 1969 - scheletro umano, scheletro di cane, guinzaglio, pattini a rotelle, lancia metallica dipinta, dimensioni variabili - Collezione Lia Rumma - photo Michele Guido

Gino De Dominicis, Il tempo, lo sbaglio, lo spazio, 1969 – scheletro umano, scheletro di cane, guinzaglio, pattini a rotelle, lancia metallica dipinta, dimensioni variabili – Collezione Lia Rumma – photo Michele Guido

Poi, la scena non può che restare agli artisti, e qui la lista si limita a quelli meglio rappresentati in allestimento: Gino De Dominicis, avvicinabile tramite una ricostruzione filologica di uno dei suoi divertimenti più perturbanti, gli scheletri de Il tempo, lo sbaglio, lo spazio; Alighiero Boetti con il suo Cimento dell’armonia e dell’invenzione; Sergio Lombardo con gli iconici diagrammi di Cinquanta partite a dadi; Eliseo Mattiacci con i libri piombati di Cultura mummificata o i riflessi metallici di Alba, giorno, tramonto, notte.

Luca Arnaudo

Roma // fino al 2 marzo 2014
Anni ’70. Arte a Roma
a cura di Daniela Lancioni
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Via Nazionale 194
06 39967500
[email protected]
www.palazzoesposizioni.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Luca Arnaudo

Luca Arnaudo

Luca Arnaudo è nato a Cuneo nel 1974, vive a Roma. Ha curato mostre presso istituzioni pubbliche e gallerie private, in Italia e all'estero; da critico d'arte è molto fedele ad Artribune, da scrittore frequenta forme risolutamente poco commerciali, come…

Scopri di più