Martin Creed (Wakefield, 1968), nonostante gli ormai 45 anni suonati, si diverte ancora a spiazzare il suo pubblico. Più di una volta, visitando la mostra allestita alla Hayward Gallery, il visitatore si scopre bersaglio ironico delle opere dell’artista. La sfida è ludica e intellettuale allo stesso tempo, giocata sul ruolo e sul significato dell’arte. L’osservatore ha due scelte: rifiutare e denigrare, o accettare e stare al gioco. Se accetta, la mostra diventa il luogo del divertimento e della meraviglia; come nelle intenzioni dell’artista, un teatro in slow-motion in cui lo spettatore è libero di addentrarsi.
Il prologo è la prima, enorme, sala, dove un divano ostruisce l’ingresso del pubblico e un neon lungo dodici metri, Mothers, monumento alla maternità, ruota ad altissima velocità rischiando di decapitare i visitatori più alti nel mezzo di un concerto sincopato di metronomi impazziti.
Il tutto, ovviamente, sotto lo sguardo divertito dell’artista, che osserva dall’autoritratto appeso alla parete, a darci il benvenuto e a chiederci divertito: What’s the point of it? (Che senso ha tutto ciò?).
La mostra, prima retrospettiva dedicata a Martin Creed, comprende più di 160 opere, e fuoriesce dai consueti spazi espositivi per invadere ascensori, corridoi, terrazze, e toilette. Comprende oggetti comuni ordinati nel tentativo organizzare il caos quotidiano: pile di sedie, tavoli, Lego, cactus, scatoloni di cartone e travi d’acciaio. Ripetizione e serialità che si ritrovano anche nella produzione grafica, nelle stampe di broccoli appesi a occupare un’immensa parete e negli strati di colore accostati a forma di ziggurat.
Tra enormi muri dipinti, installazioni fatte con il nastro adesivo e scritte al neon, Creed inserisce oggetti qualunque che prendono vita magicamente: un pianoforte a coda che si apre e comincia a muoversi, una porta che sbatte senza vento, tende che mostrano e nascondono la vista, una Ford Focus che improvvisamente accende motore e radio, attiva tergicristalli e clacson, spalanca gli sportelli, per poi ritornare a essere una semplice, rassicurante berlina.
Non mancano estremi concettuali e di provocazione: un foglio accartocciato in vetrina, una minuscola pallina di Blu-Tack schiacciata contro la parete, video che filmano funzioni corporali, vomito ed erezioni.
L’universo di Creed comprende tutto questo: serialità, ritmo, colore, teatro, oggetti quotidiani, funzioni basse. Tuttavia, quello che all’artista riesce meglio è stupire e divertire: con le luci di una sala che si spengono e accendono ogni 30 secondi (Work No. 127 The lights going on and off) e con vigilanti che suonano un pianoforte premendo un tasto alla volta (Work No. 736 Piano accompaniment).
Il vero pezzo forte della mostra è però una stanza a parte, riempita con quasi settemila palloncini bianchi che imprigionano esattamente metà dell’aria contenuta nello spazio stesso: Work No. 200 Half the air in a given space è un paradiso da luna park dove visitatori di tutte le età si nascondono e si fanno spazio tra pallocini colpendosi a vicenda e giocando tra sconosciuti, uno spazio irreale dove l’arte è pura gioia e divertimento.
Roberta Minnucci
Londra // fino al 27 aprile 2014
Martin Creed – What’s the point of it?
HAYWARD GALLERY
Belvedere Road
+44 (0)20 79604200
[email protected]
www.southbankcentre.co.uk
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati