Dopo le personali di Danh Vo e Klara Lidén, al quarto piano del Museion arriva l’arte di Ceal Floyer (Karachi, 1968; vive a Berlino). Un nome di alto rilievo internazionale, per confermare la mission della direttrice Letizia Ragaglia: fare del museo “un luogo di esperienza” per l’artista. Ma a leggere l’elenco delle tredici opere esposte, ecco la prima delusione: solo una è realizzata appositamente per Museion. Blick consiste nell’applicazione di minuscoli angoli autoadesivi (quelli degli album fotografici, per intenderci) alle grandi vetrate che si aprono sul paesaggio circostante. Un intervento sottile e allusivo, ma soprattutto destrutturante, intimamente corrosivo. E, superati i due-tre minuti necessari per individuare e riconoscere l’opera, un poco ci si dovrà pure ricredere sulla prima impressione: solo un lavoro è datato 2014, d’accordo, ma tutti instaurano un rapporto immediato e complesso con la struttura che li ospita. Ed era proprio Ceal Floyer ad affermare (ricorda Sergio Edelsztein in catalogo) che “non c’è bisogno di realizzare altri lavori, quando è più interessante fare nuove mostre con quelli già esistenti”. Il nucleo del linguaggio artistico di Floyer, insomma, risiede non tanto nell’oggetto (generalmente trouvé) quanto nel “libretto d’istruzioni” per installarlo.
Il dialogo delle opere con gli spazi di Museion diviene quindi una sorta di “aggressione semantica”. Tutte sono installate con precisa corrispondenza rispetto alle ampie strutture architettoniche (come la lampadina di Overhead Projection, che pende esattamente dall’angolo del soffitto, come il cartello Exit a indicare le scale, o la fuga sonora di Scale che riflette quella luminosa della vetrata). Ma il confronto diretto con i titoli (ormai obbligatorio per l’arte di Floyer) costringe a un movimento mentale chiuso e asfissiante, proprio perché mai conclusivo. Il visitatore si scopre così ad attraversare le lunghe distanze del museo, in cerca di corrispondenze sempre più frustrate (come nei due dittici Long Distance Diptych e Half Full / Half Empty), o a interrogarsi sul senso di segnaletiche autocontraddittorie (Meeting Point e Do not remove, esposto al piano terra).
Il rassicurante godimento del piacere estetico è negato dall’ansia di un’attesa (Drop) o dall’indecifrabilità del messaggio (Untitled Credit Roll). Perché è proprio esercitando i principi dell’ordine (come nella piccola installazione Order), che il nostro senso dell’orientamento inizia a vacillare.
Simone Rebora
Bolzano // fino al 4 maggio 2014
Ceal Floyer
a cura di Letizia Ragaglia
Catalogo Mousse
MUSEION
Via Dante 6
0471 223413
[email protected]
www.museion.it
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