Triennale di Milano. I primi passi di Edoardo Bonaspetti
Triennale, Milano - fino al 30 marzo 2014. Lo spazio Cubo al primo piano è una cattedrale bianca. I lavori sono disseminati nella luce. Michael E. Smith condensa le sue origini, riproponendo antonomasie di “shrinking cities”. Mentre Iang Chen, in una sala, allestisce una pedana caleidoscopica e polifonica. L’esordio di Edoardo Bonaspetti in Triennale, in funzione di curatore dell’area arti visive e nuovi media.
Sotto l’egida di Edoardo Bonaspetti, l’arte contemporanea, i suoi vuoti e le sue estensioni istituzionali entrano al primo piano de La Triennale di Milano. Le lunghezze del Cubo, fin dal varco d’ingresso, respirano e sembrano ingigantire, come mai era successo per nessun’altra esposizione.
Michael E. Smith (Detroit, 1977; Vive a Hokpinton) accompagna fin dai primi passi chiunque visiti gli spazi. Volumi che, sbiancati e inondati dalla luce delle vetrate a colori sul fondale, arrivano a galleggiare, nascondendo, nel bagliore, lavori di piccole e medie dimensioni. Le proporzioni tra l’uomo e il vuoto, così come quelle tra la tekne e la tecnologia sono incredibilmente falsate. Appesi al soffitto, installati alle pareti a diverse altezze, oppure appoggiati a pavimento i manufatti proto-preistorici di Smith prevedono, lungo il percorso allestitivo, un approccio continuo di ricerca, di emersione e di vigilanza. L’attenzione frugale ai resti della cultura della produzione (e del consumo) affascina da sempre l’artista americano, che lavora insistendo sui limiti di oggetti e di materiali, solo all’apparenza, designabili come di recupero.
Reduce dalla recessione che ha investito la sua città di nascita, Smith alla Triennale di Milano non compone solo un ritratto oscuro, preconizzatore e condensatore di penuria, ma racconta le radici di una civiltà che si trova a fare i conti con il lato opposto, il lato contrario dell’abbondanza. Oggetti domestici come bottiglie resinate, come seggiolini da macchina, paesaggi urbani desolanti (video) o nidi plastici ricomposti, compaiono lentamente all’occhio di chi guarda, dando l’impressione che ogni unità non sia nient’altro che il frammento di un’esplosione; l’ultima traccia di un’entropia ben più grande dell’ordine e del vuoto che regna in mostra.
Complementare, ma allo stesso tempo antitetico, Ian Cheng (Los Angeles, 1984; vive a New York) propone la sua prima personale italiana. L’artista presenta un video e una serie di simulazioni animate al computer come parte di un’installazione che si rapporta alle caratteristiche ambientali della Triennale e alle sue modalità espositive. Realizzata attorno a una pedana che si alza dal pavimento come un palcoscenico, l’installazione di Cheng diventa una piattaforma simultanea, un display e un dispositivo di mixaggio.
I visitatori si muovono a trecentosessanta gradi, avendo la possibilità di osservare proiettori e casse acustiche come diversi organismi costituenti un unico corpo emergente, i cui suoni e movimenti alterano la struttura dell’insieme.
Ginevra Bria
Milano // fino al 30 marzo 2014
Michael E. Smith
a cura di Simone Menegoi e Alexis Vaillant
Ian Cheng
a cura di Filipa Ramos
TRIENNALE DI MILANO
Viale Alemagna 6
www.triennale.org
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