I colori dell’inquietudine. Guido Sacerdoti in mostra a Napoli
Fondazione Valenzi, Napoli - fino al 24 maggio 2014. Medico, pittore, podista, musicista, professore universitario, persona colta. Era tutto questo e molto altro una delle figure più care alla Napoli intellettuale, mancata alla fine di luglio per un male incurabile. Una selezione di opere ne ricorda il talento.
Sono rari, i veri artisti. E non sempre rispondono a quell’iconografia romantica e superficiale che li vuole dannati, scapigliati e pieni di sé. Persona perbene e gentile, schiva e allo stesso tempo estroversa, Guido Sacerdoti (1944-2013) sapeva bilanciare le sue due anime. Una passione, la pittura, ereditata dallo zio Carlo Levi, maestro di vita, oltre che di parole e di colori, la cui Fondazione ha diretto con tenacia fino alla fine. E fino alla fine è rimasto fedele a quella pittura figurativa, di soggetto, che aveva imparato ad amare da giovanissimo – come testimonia il sorprendente autoritratto a 14 anni – e che non tradirà, come d’altronde i suoi ideali, per qualcosa di più nuovo, di più alla moda. Le parole sono pietre, recitava il titolo di uno dei libri più celebri di quell’amato zio; qualche volta, sembra dirci Guido, lo sono anche i colori.
Una tensione espressionista e accenti surrealisti caratterizzano le sue tele, dominate da una pennellata sinuosa, vibrante, la più adatta alla selvaggia natura ligure che circondava il buen retiro estivo sulle colline che sovrastano Alassio, dove creava scenari sensuali e onirici, spesso sfondo per i suoi “psicoanalitici” ritratti. Sacerdoti sapeva infatti cogliere l’inquietudine dei soggetti che rappresentava: la giovinezza galoppante degli amici intellettuali come Alberto Abruzzese, Beniamino Placido, Lucia Valenzi, Paolo Macry; l’interiorità dei genitori, della sorella Paola, del cugino Stefano Levi Della Torre, della compagna di una vita, Marcella; il turbamento dell’adolescenza dei figli, Arianna e Carlo. Ritratti e paesaggi sono d’altronde due facce della stessa medaglia: un volto umano è di per sé un paesaggio, e un paesaggio talvolta può rappresentare una figura cara meglio di un ritratto fedele. Ecco allora che i due generi vengono spesso a fondersi, come nell’onirico e mesto In morte di Carlo Levi (1975).
Con Sacerdoti non è scomparso, però, soltanto un medico, un pittore o più in generale un artista, ma un cittadino libero. La sua uscita di scena, per molti improvvisa, segna in maniera indelebile l’animo non soltanto di chi lo ha conosciuto e lo ha stimato, come amici, colleghi, pazienti, la comunità ebraica – era stato, infatti, il primo bambino ebreo nato nella metropoli partenopea dopo la guerra – ma il tessuto di una città e, in particolare, di un quartiere come il Vomero, quello nel quale abitava e per cui si spendeva in prima persona, a partire dalle battaglie ambientaliste e di salvaguardia del (poco) verde rimasto. Un quartiere che va trasformandosi, di giorno in giorno, da isola felice della Napoli della cultura e del passeggio, del benessere e dello shopping, a indefinito agglomerato che registra indifferente la chiusura delle sue librerie e dei suoi cinema trasformati in supermercati.
Giulio Brevetti
Napoli // fino al 24 maggio 2014
Guido Sacerdoti – La pittura come vita
Catalogo Paparo
FONDAZIONE VALENZI
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