Los Angeles celebra Mike Kelley. La grande retrospettiva al Geffen Contemporary
Mentre al neo-direttore, Philippe Vergne, il governo francese ha da poco assegnato la legione d’onore per meriti artistici, continuano al MOCA gli eventi legati alla grande retrospettiva di Mike Kelley. Ad esempio, un baccanale della durata di un’ora…
Una discreta folla ha occupato il piazzale di fronte alla sede del MOCA, in occasione dell’evento One-Hour Bacchanal. A mini carnival in the spirit of Mike Kelley, a cura dell’attrice e performer Ann Magnuson. Nello spirito di Mike Kelley, ma anche dei losangeleni che notoriamente vanno matti per le feste in maschera, il pubblico è stato invitato a indossare costumi ispirati all’opera dell’artista e a portare con sé un peluche da sacrificare “al dio pagano dell’Arte”. Il carnevale è stato animato dalle performance di vari artisti, cantanti, musicisti provenienti dalla scena underground, punk, drag queen e generalmente notturna di Los Angeles e New York. Alcuni di loro, come Kristian Hoffman, collaborarono con Mike Kelley, la cui passione per la musica è stata pari a quella per l’arte. Non manca pure qualche volto del cinema, come l’androide Zhora, ovvero Joanna Cassidy, di Blade Runner.
A due anni dalla sua scomparsa, il mondo dell’arte di Los Angeles continua a celebrare il grande artista, nato a Detroit nel 1954 ma trasferitosi nella capitale californiana nel 1976 per frequentare i corsi del California Institute of the Arts. Qui Kelley aveva vissuto da allora, fino al tragico suicidio nel gennaio 2012. “Credo sia importante capire che la scena artistica di L.A. non sarebbe stata la stessa senza la presenza di Mike Kelley come artista e come insegnante”, sottolinea Vergne. Qui finalmente, il 31 marzo 2014, ha aperto al pubblico la retrospettiva, organizzata dallo Stedelijk Museum di Amsterdam, in collaborazione con la Mike Kelley Foundation for the Arts e già ospitata dal Centre Pompidou prima e dal MoMA PS1 poi. Ma non c’è paragone con queste precedenti edizioni: la versione losangelena, riadattata e curata da Bennett Simpson, le supera di gran lunga per numero di opere (circa 250) e per magnificenza.
Complice uno spazio incredibile qual è il Geffen Contemporary, sede distaccata del MOCA, ex deposito di automobili della polizia ristrutturato da Frank O. Gehry, la mostra si distribuisce su 3.700 mq e immerge il pubblico in una dimensione parallela modellata dalle opere e dall’immaginario di Kelley.
Il grande vano centrale raccoglie la serie di installazioni video Extracurricular Activity Projective Reconstruction, iniziata nel 2000, mentre tutto attorno si colloca il percorso, non strettamente cronologico, suddiviso in ambienti scanditi da passaggi e divisioni murarie. L’esperienza è più immersiva che didascalica, permette di avere uno sguardo contemporaneo su lavori di diversi periodi e perciò di trovare legami, suggestioni e continuità tematiche. Una sinestesia che si ricollega bene agli interessi di Kelley per il concetto di opera d’arte totale.
A partire dalle prime sculture (Birdhouses, 1977-78) e le prime performance (The Banana Man, 1981-83), passando dai disegni della serie Monkey Island (1983), fino alle fantastiche sculture luminose dedicate a Kandor (1999-2000) – la città di Superman sul pianeta Krypton che l’artista ricostruisce ispirandosi alle descrizioni nei fumetti – o alla serie di opere dedicate alla sua città natale Detroit, nelle opere di Kelley l’ambiguità e l’inquietudine scaturiscono dalla frizione fra le pulsioni dell’infanzia e dell’adolescenza e le rigide imposizioni di una società autoritaria che genera stereotipi, abusi, ingiustizie di classe, repressione sessuale e un concetto di criminalità basato su regole spesso discutibili. Come racconta il critico John C. Welchman: “Mike era sempre mosso dalla volontà di sollevare questioni che riguardano il trauma, la morte, la religione, la sessualità, le tematiche transgender, la moralità, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Credo sia fra i pochi artisti del nostro tempo che abbiano avuto il coraggio di confrontarsi con questi grandi temi”.
Al Geffen la stretta relazione tra Kelley e Los Angeles emerge anche in un’opera inclusa qui dalle collezioni del MOCA: Framed and Frame (1999), la riproduzione in miniatura del monumento conosciuto come Chinatown Wishing Well, realmente collocato nel quartiere cinese, non lontano da due locali che segnarono la scena punk della città tra la fine degli Anni Settanta e i primi Ottanta (Madame Wong’s e Hong Kong Cafè). In questa grande installazione l’artista condensa simboli di trascendenza e fisicità, come spesso accade nel suo lavoro.
E non finisce qui: il 24 maggio un ulteriore pezzo ha completato la grandiosa ricostruzione del percorso artistico di Kelley. La Mobile Homestead, riproduzione in scala reale della casa dove l’artista crebbe, in Michigan, e adibita ad abitazione mobile allo scopo di ospitare servizi per le comunità e per gli homeless, arriva per la prima volta a Los Angeles. Non per niente il MOCA ha deciso di legare l’inaugurazione di questa installazione a Walk the Talk 2014, il corteo della comunità dei senzatetto di Skid Row organizzato ogni due anni dalla non-profit LAPD (Los Angeles Poverty Department). La Mobile Homestead ospita per l’occasione una ricostruzione della storia del quartiere di Skid Row, l’altra faccia dell’ordine e dell’opulenza di questa metropoli.
Emanuela Termine
Los Angeles // fino al 28 luglio 2014
Mike Kelley
a cura di Ann Goldstein e Bennett Simpson
MOCA
250 South Grand Avenue
+1 (0)213 6266222
http://www.moca.org/
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