Maria Lassnig. Omaggio alla pittrice dell’autoritratto
Un continuo dialogo solitario con se stessa e tutta la vita a ritrarre il proprio corpo attraverso le sensazioni interne. Traumi personali, fantasie e incubi. Anche per lo spettatore. Se n’è andata il 6 maggio, come voleva lei, piano piano, dolcemente, a novantaquattro anni. Dopo la notizia a caldo, ora un ricordo più ampio dal nostro corrispondente da Vienna, Franco Veremondi.
Con la grande retrospettiva in corso al MoMA PS1 di New York, la vita di Maria Lassnig (1919-2014) si è arrestata all’apice del riconoscimento artistico, un successo consolidato solo negli ultimi decenni. Purtroppo la morte aleggiava ormai sulla sua figura epica, lei giunta 94enne al limite delle forze fisiche con i postumi infelici della frattura di un femore. Già undici mesi prima non si era potuta presentare alla 55. Biennale di Venezia per ricevere con le proprie mani l’ambitissimo Leone alla carriera.
E a ben vedere, la mostra newyorchese è stata inconsciamente presentata con una scheda dal timbro di un necrologio. Ora, sarà solo questione di aggiornarla variando di un minimo la grammatica verbale. Ma – accidenti! – un preludio all’aldilà può esserlo anche il contenuto di una esposizione, quando ti dedicano una “grande retrospettiva”, e hai in sorte di non essere ancora trapassato: un ultimo colpo d’occhio al retrovisore della tua carriera artista che accompagna di pari passo la vita. A conti fatti, però, hai almeno la fortuna di assaporare la vera considerazione degli altri, la nuda verità in diretta.
Ecco, la nuda verità, come tutte nude si presentano le figure umane che Maria Lassnig ha sempre dipinto, ritratti di se stessa per meglio dire, nel suo corpo-a-corpo con l’arte. L’impegno è sempre stato quello di tracciare un ponte tra l’interiorità e il mondo esterno. Per lei, la nudità ha rappresentato l’immagine della coscienza del proprio corpo, divenendo il segno distintivo della sua poesia. La nuda vita di cui parla Walter Benjamin sembra il giusto riferimento. Non bastasse, privi di uno sfondo come sono, quei corpi sulla tela si pongono allo sguardo come apparizione di una doppia nudità.
Du oder ich (Tu o io) è un dipinto ormai celebre di Maria Lassnig, esposto immancabilmente alla mostra del PS1. Ma era già presente al MuMok di Vienna in occasione di una bellissima esposizione sui lavori dell’ultimo decennio artistico. Già novantenne, Maria appariva nel pieno vigore psicofisico la sera dell’inaugurazione. E Du oder ich, per via di una inattesa, cruda veemenza psicologica, fu, tra tutti, il quadro più ammirato dal pubblico. Un autoritratto nudo, ovviamente: occhi sul pubblico, puntando dritta una pistola impugnata con la mano destra contro chiunque getti lo sguardo sul dipinto. Con l’altra mano, puntandosi essa stessa una pistola alla tempia. Massima tensione condensata in un istante, equilibrio precario, crisi relazionale, estasi violenta, chiusura dialettica con una minaccia disperata. Impossibile non connettervi un urlo perentorio e disperato, come accade nel dipinto di Munch. Il titolo potrebbe mancare e sarebbe ugualmente un concentrato di narrazioni esistenziali o simboliche, un aut aut infernale. Tutto potentemente imbastito con poche pennellate di colore; l’essenziale, artisticamente parlando; un labirinto congetturale a non finire per l’osservatore. Non per nulla il proprietario del quadro – ricco collezionista tedesco, noto anche per il suo egocentrismo – ha spesso dichiarato che la sterminata collezione che ha voluto raccogliere si accentra su opere enigmatiche, di difficile lettura.
Maria Lassnig aveva compiuto gli studi durante la Seconda guerra mondiale alla Akademie der Bildenden Künste di Vienna. Negli Anni Cinquanta si ritrova in compagnia di giovanissimi, aspiranti artisti come Arnulf Rainer, Ernst Fuchs, Wolfgang Hollegha, tutti di una decina di anni più giovani. Inizialmente rivolta all’astrattismo, scopre presto la sua vocazione per l’autoritratto. In seguito, per quanto attenta ad alcune tematiche del corpo tipiche dell’Azionismo viennese dei primi Anni Sessanta, ma non certo per le più estreme, non abbandona la pittura. Tuttavia nel corso degli anni avrà modo di apprendere le tecniche del cinema d’animazione frequentando la School of Visual Art di New York, città dove ha vissuto dal 1968 al 1980. Il rientro in Austria, nel 1980 appunto, coincide con l’incarico di rappresentare l’Austria alla Biennale di Venezia insieme a Valie Export. È da quel momento, passati i sessanta, che comincia a decollare la sua carriera, esponendo alla Documenta di Kassel e in musei tra i più importanti del mondo, come il Centre Pompidou di Parigi o la Serpentine Gallery di Londra.
Intanto, al PS1 di New York c’è tempo fino al 25 maggio per vedere la grande retrospettiva, fatalmente collocata tra l’aldiquà e l’aldilà dell’esistenza dell’artista (sul sito trovate anche la recensione scritta da Francesco Lecci). Una selezione di cinquanta dipinti, a cui si aggiungono acquerelli e alcuni film. È curata da Peter Eleey e Jocelyn Miller, e organizzata in collaborazione con la Neue Galerie di Graz, sezione dedicata al XIX e XX secolo dello Universalmuseum Joanneum.
Franco Veremondi
New York // fino al 25 maggio 2014
Maria Lassnig
MOMA PS1
22-25 Jackson Avenue
+1 718 7842084
[email protected]
www.momaps1.org
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