Pollock e Michelangelo a Firenze. L’informe, il pathos e la furia
Palazzo Vecchio, Firenze - fino al 27 luglio 2014. Sei disegni di Jackson Pollock, arrivati dal Metropolitan Museum di New York, sono il cuore di questa mostra. Studi di corpi michelangioleschi, che raccontano l’amore dell’artista per il genio rinascimentale: messi a confronto con tele e incisioni, riaprono alcune riflessioni sul senso, il mistero e la potenza della ricerca di un maestro del Novecento.
L’enigma di Jackson Pollock (Cody, 1912 – New York, 1956), fra astrazione e figurazione. Dalle prime influenze surrealiste al periodo della deflagrazione assoluta (1947-1953), cosa accadde? Decine di studiosi hanno sviscerato il tema da prospettive differenti. Ma il mistero della sua rivoluzionaria potenza pittorica resiste. La mostra di Palazzo Vecchio ha il merito di riaprire il dibattito, con nuove suggestioni.
Una mostra raccolta, concentrata su alcuni indizi e accostamenti; in tutto una decina di tele e incisioni, di piccolo e medio formato, arrivate da alcuni musei internazionali, oltre a sei disegni giovanili del Metropolitan di New York. Disegni che sono la chiave del progetto: Pollock coltivò un’autentica passione per Michelangelo. Di lui copiò i corpi maestosi e spiraliformi, cogliendone l’energia e la dinamica inquieta. E di lui conservò quell’attitudine che il Lomazzo definì “la furia della figura”. Capovolgendo tale definizione, la mostra racconta Pollock come “la figura della furia”, presenza dionisiaca guidata dal flusso di una danza demiurgica, capace di strappare la pittura alla sua dimensione verticale, celeste e rappresentativa, portandola sul piano orizzontale, terrestre, istintuale. Il piano dell’informe, come avrebbe detto Rosalind Krauss, riprendendo Bataille.
Ma fu davvero scavalcata la questione dell’icona? E quanto sopravvisse l’eco dell’immagine, sepolta sotto gli strati e le gocciolature, come svelato dai raggi X nella splendida Full fathom five del 1947? All’inquietudine degli opposti, in verità, lo sciamano del dripping restò inchiodato sempre, come a una croce. Mentre provava, con la mediazione del rito pittorico, a liberare il massimo della tensione spirituale nel corpo della forma esplosa. L’informe come “possibilità”, per dirla con Valéry. Tra pathos, pulsione e controllo.
E così pure Michelangelo, a modo suo. Basterebbe ripensare ad alcune opere tardive dei due: da un lato la splendida Deep, tela del 1953, sospesa tra l’iconoclastia del bianco e la concretezza di una fenditura abissale, oppure le serigrafie del 1951 (esposte a Firenze), frammenti di una nuova figurazione, scavati nel nero di una contemporaneità convulsa; dall’altro la straziante Pietà Rondanini, di cui l’anziano Buonarroti consumò i contorni, nella disperazione neoplatonica del non finito, al tramonto del mito rinascimentale.
Due artisti immensi, a cui Dylan Thomas – poeta amatissimo da Pollock – avrebbe potuto scrivere ciò che scrisse al padre malato: “Infuriati, infuriati contro il morire della luce”. E nella furia, entrambi, conobbero l’oscurità e la fiamma, rovesciando l’istinto di morte nel desiderio di vita, e viceversa. Come nel destino di ogni forma che nell’informe divampi. Sparendo, venendo.
Helga Marsala
Firenze // fino al 27 luglio 2014
Jackson Pollock – La figura delle furia
a cura di Sergio Risaliti e Francesca Campana Comparini
Catalogo Giunti
PALAZZO VECCHIO
Piazza della Signoria
055 2768465
www.pollockfirenze.it
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