Art or Sound. Il paradosso museale di Germano Celant
Fondazione Prada, Venezia - fino al 3 novembre 2014. Nello spazio espositivo veneziano della fondazione va in scena “Art or Sound”. Tra errori allestitivi e incoerenze espositive, si conferma, nella totalità, una mostra difficilmente fruibile. Il motivo del giudizio lo trovate qui sotto.
Silenzio. Silenzio. Ancora silenzio. Un atrio vuoto. Una rampa di scale. Rumori soffocati. Porta di legno. E poi, la confusione. Siamo nel primo piano nobile di Ca’ Corner della Regina, dove Germano Celant ha allestito, per la Fondazione Prada, il paradosso museale di Art or Sound. Ciò che vi troverete d’innanzi è una specie di mercatino d’antiquariato: mancano solo i prezzi sulle targhette descrittive (tra l’altro, mal posizionate).
Andiamo nello specifico: una mostra che ha il vezzo di chiamarsi arte o suono dovrebbe, come minimo, avere uno o più suoni. Invece, quel che troverete sono solo rumori che provengono da diverse stanze e che renderanno il tutto ancor più spaesante: seguo il rumore oppure no? Apriti cielo.
I punti a sfavore di questa mostra sono diversi, cerchiamo di fare ordine. Uno: che senso ha ingabbiare uno strumento musicale – e quindi il suono che esso sprigiona – in una teca di vetro? Uno strumento musicale silenzioso, inusabile, è prettamente inutile. E perde anche il suo senso espositivo. Due: quale sarebbe l’arte del suono? Quella di un vecchio orologio con carillon, peraltro riprodotto in cassa? O il ticchettio di una gabbia con uccelli cantori? Manca il suono e manca l’arte, poiché quest’ultima è insita alla melodia e non allo strumento. Tre: il suono è anche musica – e ce n’è pochissima – ma la musica è composizione; dunque qual è il senso di un pianoforte o di un violino che non si possono neanche sfiorare?
Quattro: l’elevato numero d’oggetti presenti, la disposizione, rende il tutto una sorta di mercato dell’usato; forse l’intento era di riportare in vita il monte dei pegni proprio ubicato a Ca’ Corner della Regina negli Anni Cinquanta? Cinque: solo una decina di opere esposte – e anche qui c’è da andare cauti con le parole – sono interattive, cioè azionabili dal pubblico; fra queste: una cabina telefonica nella cui cornetta si sente una voce femminile, un divano da psicoanalisi con impianto sonoro all’altezza della testa, un pulsante che attiva un meccanismo appeso al muro, una scatola musicale a disco azionabile premendo diversi tasti col dito e uno xilofono con le barrette di marmo anziché in legno. Nulla di emozionante, insomma. Sei: vista la grande quantità di strumenti (muti) e cimeli musicali (muti) e ready made, non sarebbe stato più logico – considerando anche l’antichità di certe opere – fare una mostra sulla storia della musica?
Ma c’è dell’altro. I due piani nobili (il secondo aperto per la prima volta) offrono la possibilità – ma solo se il fruitore s’impegna – di effettuare un percorso storico-cronologico all’interno dell’immenso cosmo della musica, proprio partendo – così vi aiutiamo – dai dipinti a soggetto musicale del 1500 circa. Non mancano, infatti, pezzi rari e antichi, strumenti insoliti e riproduzioni di manufatti artigianali (magari non destinati mai a suonare). C’è anche una parte di opere contemporanee, che vanno dai dadaisti ai giorni nostri: un Calder, davvero invisibile finché non ci sbatti contro, un Cattelan, c’è With Hidden Noise di Marcel Duchamp, il Ciac Ciac di Giacomo Balla, e il pianoforte a coda fatto con rotoli di carta igienica, opera di Walter Marchetti.
Nell’insieme la mostra intera dovrebbe essere spostata di peso all’interno di qualche museo storico o scientifico. E, parlando di scientifico, non bisogna dimenticare il tavolo attraverso cui è possibile ascoltare, appoggiando i gomiti in due punti specifici e coprendosi le orecchie con le mani, della musica (il suono passa per le ossa). Arte? No, scienza.
Non manca anche il lato più performativo: in una stanza – in cui l’attenzione dovrebbe essere solo rivolta all’installazione di Pistoletto – ci sono un ragazzo e una ragazza, lui violinista, lei danzatrice classica, lui esegue un pezzo della Petrushka di Stravinsky e lei balla a tempo. Il tutto per circa tre minuti, ripetuto per due ore al giorno. Alle loro spalle una tela occupa interamente il muro, volete sapere cosa c’è dipinto? Semplice: le note dello spezzone di Petrushka che ascolterete. Scontato?
Paolo Marella
Venezia // fino al 3 novembre 2014
Art or Sound
a cura di Germano Celant
FONDAZIONE PRADA – CA’ CORNER DELLA REGINA
Calle de Ca’ Corner – Santa Croce 2215
041 8109161
[email protected]
www.fondazioneprada.org
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