Irving Penn. La consacrazione a Venezia
Palazzo Grassi, Venezia - fino al 31 dicembre 2014. La Fondazione François Pinault dedica la sua prima mostra fotografica a Irving Penn. Esponendo nelle sale del secondo piano la più grande raccolta di opere mai esposta in Italia dell’americano: 82 stampe al platino, 29 stampe ai sali d'argento, 5 stampe dye-transfer a colori e 17 internegativi mai esposti prima d'ora.
La mostra non è una retrospettiva e il particolare allestimento lo dimostra. I curatori Pierre Apraxine e Matthieu Humery hanno scelto un percorso che non segue criteri lineari o cronologici, ma che mira a rendere la vera essenza della ricerca creativa di Irving Penn (Plainfield, 1917 – New York, 2009). Ritratti di celebrità o indigeni, nudi o still life, ogni immagine descrive una visione in cui tutto è soggetto a una volontà di forma che mostra l’individuo o l’oggetto nella sua verità. Privato del proprio contesto sociale e della storia, posto su uno sfondo neutro e illuminato da una luce rigorosamente proveniente da nord, il soggetto appare nudo e presente, dignitoso e unico nella sua profondità di pensiero.
La composizione delle immagini di Penn nasce dal repertorio visivo dei grandi artisti della storia dell’arte. Come egli stesso ebbe a dire a una conferenza a Gothenburg nel 1985, le sue maggiori fonti di ispirazione non sono stati fotografi ma pittori: Paolo Uccello per i suoi drammatici scorci di prospettiva, Giorgio de Chirico per l’espressività enigmatica dei soggetti e Goya per la sua drammatica eleganza.
Nelle fotografie di Irving Penn nulla è lasciato al caso. Tutto è disegno, pensiero. Come gli artisti ricerca l’atelier. Per lui è infatti impossibile lavorare al di fuori dello studio fotografico, tanto che in giro per il mondo affitta sale di scuole chiuse per le vacanze estive, come a Parigi per realizzare alcune foto della serie Piccoli mestieri, o trasporta uno studio mobile, come dimostrano le foto scattate ai peruviani a Cuzco, ai gitani in Spagna, quelle agli indigeni negli altopiani della Nuova Guinea o nelle montagne del Nepal.
Il set come territorio neutro dove fotografo e soggetto creano un intenso legame empatico attraverso lo sguardo mediato dalla macchina. “Taking people away from their natural circumstances and putting them into the studio in front of a camera did not simply isolate them, it trasformed them. Always there was a transormation”, scrive nel suo libro Worlds in a small room del 1974.
Parallelamente alla fotografia di moda per Vogue, Penn porta avanti ricerche personali in cui si diverte a esplorare varie tecniche di stampa. Attorno agli Anni Sessanta, amareggiato dalla banalizzazione dell’immagine in atto nell’industria editoriale, riprende la tecnica ottocentesca della stampa al platino, affascinato dalla texture materiale e dalla sua resa tonale, capace di riprodurre la qualità dell’incisione o dell’acquaforte. Vero gioiello della mostra è la sala in cui sono esposte le diapositive che fanno parte di questo procedimento, stampate su pellicola trasparente, in cui Picasso dialoga con Barnett Newman, la compagnia di balletto guarda i bambini di Cuzco e le curve voluttuose dei nudi si impongono di fronte alle donne velate marocchine.
Fil rouge è sempre lo sfondo neutro, nel quale anche il visitatore può abbandonarsi scendendo al piano terra, nella mostra L’illusione della luce, ed entrando nello spazio abbacinante ricreato dall’opera di Doug Wheeler. Quando si dice l’arte per l’arte.
Amalia Nangeroni
Venezia // fino al 31 dicembre 2014
Irving Penn – Resonance.
a cura di Pierre Apraxine e Matthieu Humery
PALAZZO GRASSI
Campo San Samuele
041 5231680
www.palazzograssi.it
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