Ogni buon economista dovrebbe prendersi il gusto di visitare la mostra ora in corso al Museo di Roma. Al di là della qualità delle opere, quel che vale è la misura concettuale che l’esposizione offre del mutare vertiginoso di una civiltà, l’inglese appunto, affacciata sul parapetto di una modernità che al momento, siamo nel Settecento, iniziava appena a interessarla, e che di lì a poco l’avrebbe vista assoluta protagonista.
Nel passeggiare per le stanze allestite con un’attenzione notevole per la ricostruzione degli interni borghesi del tempo, tutti fregi e carte da parati damascate, lo sguardo segue dunque in primo luogo una lunga teoria di vivaci vedute londinesi, dove la capitale di un impero ancora in corso di formazione corrisponde di fatto a un gigantesco cantiere a cielo aperto. Nei luminosi oli settecenteschi del Canaletto – uno dei primi artisti italiani a intendere e sfruttare le prospettive commerciali di un trasferimento di bottega in Inghilterra, di fatto antesignano dei nuovi Italians ora presi a frequentare i mall artistici di Russia, Cina ed Emirati – o di valenti autoctoni come Samuel Scott si può così assistere, complice un devastante incendio avvenuto nel 1666 che spazzò via la vecchia City, alla costruzione di un’idea di capitale del mondo, come di fatto succederà poi in simili proporzioni solo per New York e ora Pechino.
Superati i canali intasati di commerci navali e una sezione piacevolmente coloristica dedicata alla celebrazione dei fasti industrial-scientifici del tempo (dove a imporsi è senz’altro il virtuosismo chiaroscurale di Joseph Wright), si scorre poi verso una sezione ritrattistica e d’interni che, oltre a rendere merito a maestri noti come Reynolds o Gainsborough, permette da un lato di studiare da vicino la meno celebre ma molto sontuosa pittura del (tedesco d’origine) Johann Zoffany, dall’altro di godersi scene dal celeberrimo ciclo d’incisioni di William Hogarth dedicato al matrimonio alla moda, assoluto vertice della critica di costume in arte, o dalla sua implacabile analisi della bellezza.
Seguono omaggi pressoché obbligati quanto prescindibili alla tecnica dell’acquerello e a scene di Gran Tour in Italia, quindi una stanza dedicata a nomi sulla carta di grande richiamo, come Joseph Turner e John Constable, rappresentati tuttavia da opere importanti, ma non indimenticabili salvo un piccolo paesaggio con nuvole del secondo, proveniente dalla New Art Gallery di Walsall, superbamente giocato sul contrasto drammatico fra i toni terrosi del fondo e gli squarci luminescenti del cielo.
Luca Arnaudo
Roma // fino al 20 luglio 2014
Hogart, Reynolds, Turner. Pittura inglese verso la modernità
a cura di Carolina Brook e Valter Curzi
Catalogo Skira
FONDAZIONE ROMA MUSEO – PALAZZO SCIARRA
Via Minghetti 22
06 69205060
www.pitturaingleseroma.it
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