Giovanni Bellini a Brera. Preghiere in forma di pittura
Pinacoteca di Brera, Milano – fino al 13 luglio 2014. Un focus rapido ma riuscito, costruito attorno alla restaurata “Pietà” milanese di Giovanni Bellini: opere da Londra e Parigi, alla Pinacoteca di Brera, per raccontare la pittura devozionale nell’area lombardo-veneta tra XV e XVI secolo. Capolavori assoluti, che faticano però a dialogare con il resto della collezione
Vince lo sfarfallio dell’oro che di solito esplode in queste sale, ribattuto in foglie sullo sfondo delle tavole trecentesche o ancora sulle cornici che inquadrano le ieratiche armonie dei maestri veneti e lombardi del primo Rinascimento. È l’atmosfera volutamente dimessa, seducentemente casta del riallestimento che porta i primi angoli della Pinacoteca di Brera a riflettere sull’esperienza di Giovanni Bellini (1430 – 1516)e della sua bottega, holding di famiglia, attraverso il filtro più intimo e dunque istintivo, potente, drammatico. Quello delle opere di piccolo formato, destinate alla devozione di una committenza che alternava all’ostentazione pubblica dei grandi capolavori il gusto raffinato per una dimensione di squisita gelosia. Poche opere ma buone, quelle giuste, le migliori: una narrazione didattica – per certi versi forse esageratamente didascalica – che riesce tuttavia a dare il senso di un clima culturale che non si autogenera ma viene da lontano. Basta il Cristo morto con la Vergine dolente dell’ignoto pittore trecentesco di origine greca, oggi al Museo Horne di Firenze, per significare l’origine bizantina di un sistema iconografico fondato su schemi e impaginazioni dalla solida tradizione orientale, rinfrescati nella bottega di Bellini con eleganza inarrivabile.
Cuore della mostra è il confronto con la celeberrima Pietà già a Brera – spostata per l’occasione di una decina di metri dalla sua collocazione abituale – e gli esemplari con lo stesso tema oggi a Rimini e al Museo Correr: un triangolo che vede la tavola milanese, fresca di restauro, inserita in un approfondito contesto critico, brillante nel tracciare con tocchi rapidi ma efficacissimi il senso di una ricerca formale mai così complessa e articolata.
I limiti della mostra, che si fregia di prestiti importanti dal Louvre e dalla National Gallery di Londra, e che guarda a diversi artisti di area lombardo-veneta dell’epoca – da Alvise Vivarini all’immancabile Andrea Mantegna – sono allora tutti puramente museografici.
Nell’apparente scollamento tra la mostra stessa e il resto della collezione, saccheggiata più che integrata nel percorso espositivo; tenuta distante anche fisicamente dalla scelta incomprendibile di un percorso di visita da giro dell’oca. Si entra in corrispondenza della sala dedicata al Rinascimento lombardo, alla quale accedere solo dopo aver completato il giro ed essere tornati sui propri passi: movimento che nega il dialogo con le altre opere della collezione. Come gli ulteriori capolavori di Bellini e, soprattutto, il Cristo morto del Mantegna, che nella nuova nicchia disegnata da Ermanno Olmi ritrova proprio il suo valore cultuale prima che eminentemente artistico.
Francesco Sala
Milano // fino al 13 luglio 2014
Giovanni Bellini – La nascita della pittura devozionale umanistica
PINACOTECA DI BRERA
Via Brera 28
www.brera.beniculturali.it
www.pinacotecabrera.net
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati