Ryan Gander. O dell’arte in UK dopo Hirst & Co.
L’ascesa dell’artista britannico Ryan Gander (Chester, 1976) è iniziata da qualche anno, ma sicuramente si consoliderà alla fine della mostra itinerante Make every show like it’s your last (evidente citazione di Steve Jobs), motto che esprime tutta la pressione che pesa sull’artista quando gli viene commissionata un’opera o una mostra. Siamo andati all’inaugurazione della tappa […]
L’ascesa dell’artista britannico Ryan Gander (Chester, 1976) è iniziata da qualche anno, ma sicuramente si consoliderà alla fine della mostra itinerante Make every show like it’s your last (evidente citazione di Steve Jobs), motto che esprime tutta la pressione che pesa sull’artista quando gli viene commissionata un’opera o una mostra.
Siamo andati all’inaugurazione della tappa di Manchester, dove lo stesso Ryan Gander ha presentato le sue opere. Dopo Parigi e a seguire Vancouver, Aspen e altre destinazioni, quella inglese ha tutta l’aria di essere una tappa fondamentale: perché è la città dove ha studiato e dove oggi, per la prima volta nel suo Paese, può mostrare opere inedite.
L’approccio di Gander alla creazione artistica è estremamente meticoloso: ci tiene a precisare che non vuole viverla come un’ossessione o un tema ricorrente, ma l’immaginazione è indubbiamente il filo sottile e discreto che tiene unite le opere nelle ampie sale dell’Art Gallery di Manchester attraverso la pittura, la scultura, il video, le campagne pubblicitarie, la fotografia, gli slideshow.
C’è molto di biografico nelle opere in mostra: And what if no one beleive the truth? (2014) è un calendario concepito dall’artista con immagini e note sui suoi progetti e ricerche; My family before me (2006) è una foto della famiglia di Gander prima della sua nascita, dove l’artista immagina il suo posto accanto al fratello. E poi la sua prima collezione di pins di quando era piccolo conservata in una vecchia scatola di gelato, e ancora C++ (2013), che occupa un’intera parete del museo, dove vengono presentate le palette di colori utilizzati per dipingere i ritratti di cento persone care alla memoria dell’artista conservati nel suo archivio.
Imagineering (2013) è invece una fittizia campagna pubblicitaria “supportata” dal governo inglese per stimolare e incoraggiare l’immaginazione come alternativa alla realtà politica e sociale in cui viviamo: il video è stato realizzato dall’agenzia pubblicitaria Kirke and Hodgson. Ma Magnus Opus (2013) resta il pezzo più sorprendente della mostra: due occhi elettronici animati incassati nel muro seguono lo spettatore e assumono varie espressioni, noia, curiosità, concentrazione, frustrazione e confusione. L’opera, ci spiega l’artista, è il risultato di lavoro di équipe di ingegneri elettronici e la realizzazione del progetto è durata oltre un anno e mezzo.
Cosa rappresenta per te la prima personale in un museo pubblico in Inghilterra?
A dire il vero non si tratta della prima mostra in Inghilterra, è la seconda qui a Manchester: la prima fu nel 2004. Questa è sicuramente la più importante, nel senso che è la tappa di un tour mondiale. Perché Manchester? Io e Manchester ci siamo scelti a vicenda, ho ricevuto una commissione pubblica dal Manchester City Council per il prossimo settembre e al direttore del museo è sembrato interessante avere una mia personale in città allo stesso momento.
Il tema dell’immaginazione sembra ricorrere in molte delle tue opere…
Non vorrei chiamarlo ossessione o tema ricorrente, si tratta di un interesse: lasciare al visitatore la possibilità di immaginare cosa può esserci dietro un’opera o ricostruire i pezzi mancanti di una storia. Mi interessa molto l’aspetto narrativo di un’opera.
Quanto importante è stata per te l’esperienza alla Biennale di Venezia del 2011?
Devo dirti la verità?
Oddio, sì.
È stata una delle peggiori esperienze della mia vita per la completa disorganizzazione, per la superficialità e la noncuranza nei confronti degli artisti e delle opere. Inoltre, come portatore di handicap, su una sedie a rotelle è stata un’esperienza davvero pesante.
Quanto il fatto di essere supportato da una galleria come Lisson ha cambiato il tuo approccio?
Molto, direi. Confesso che il fatto di essere supportato da una galleria come Lisson ha fatto aumentare incredibilmente la mia autostima. Mi dà la giusta sicurezza di osare a fare opere sempre più ambiziose. Il 60% dei miei collezionisti sono in Giappone, va molto bene anche in Francia con la gb Agency di Parigi.
Che impatto hanno avuto gli ex YBA sulla tua generazione?
Non hanno avuto alcun impatto sul mio lavoro. Finiti gli studi qui a Manchester, ho sentito il bisogno di lasciare l’Inghilterra (ho vissuto per cinque anni nei Paesi Bassi). Volevo allontanarmi dal sensazionalismo e dalla ricerca mediatica degli YBA. Ero molto interessato alla ricerca artistica del centro Europa: Belgio, Olanda, Lussemburgo.
Prossimi progetti?
Mi aspetta un periodo molto denso. Seguirò la mostra nelle tappe oltre oceano a Vancouver, Montréal, Aspen, Melbourne, Osaka e varie commissioni pubbliche a New York, Giappone. Mi aspettano oltre 50-60 progetti per i prossimi anni!
Barbara Martorelli
Manchester // fino al 14 settembre 2014
Ryan Gander – Make every show like it’s your last
MANCHESTER ART GALLERY
Mosley Street
+44 (0)161 2358888
www.manchestergalleries.org
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