Western trance. Joachim Koester a Ginevra
CAC, Ginevra - fino al 17 agosto 2014. Non una mostra itinerante ma un progetto che evolve insieme ai propri spostamenti. Così è avvenuto per le mostre di Joachim Koester allestite a partire dalla fine del 2011 allo IAC di Villeurbanne, al MIT List Visual Arts Center di Cambridge, alla Kunsthal Charlottenborg di Copenhagen, allo S.M.A.K. di Ghent e, infine, al CAC di Ginevra.
Al CAC di Ginevra sembra quasi di visitare due mostre differenti, a prima vista pensate da due diversi artisti. Perché su un piano a dominare è l’allestimento con le sue videoinstallazioni. Buio pressoché pesto in sala, tanto da dover prima abituare la retina per percorrere senza danni lo scenario labirintico fatto di pareti realizzate con assi di legno grezzo, come se ci si trovasse in una baita raffazzonata, dove la carpenteria è un vezzo da deridere. Scenario da vecchio West, e infatti: il primo video in cui ci s’imbatte vede protagonisti alcuni giovani che potrebbero essere usciti da una recente pellicola western. Danzano nervosi, l’epilessia (o la trance) è dietro l’angolo. La “storia” dell’inedito The Place of Dead Roads (esplicito l’omaggio a Burroughs) è quella di una macchina per cucire e di una setta.
Ma il punto non è la storia, il plot. E questo è chiaro quando si accede al piano successivo del CAC, dove sono allestite le serie fotografiche e la documentazione di alcuni lavori di Joachim Koester (Copenhagen, 1962; vive a New York). Il punto, dicevamo, consiste nel non negare il fatto che il danese fa parte di quell’ormai ampia cerchia di artisti affascinati dall’archivio e dalle storie più o meno borderline e underground. Ne abbiamo viste molte all’ultima Biennale di Venezia, raccontate in prima o terza persona, dai protagonisti o da osservatori partecipanti. Koester lavora in questo solco: lo fa quando ripercorre le passeggiate di Kant o quando va alla ricerca degli edifici che furono al centro di una dura polemica fra Hans Haacke e il MoMA all’inizio degli Anni Settanta. Recupera storie, le ripercorre, le riracconta.
Il fatto che però lo distingue nettamente da molti dei rappresentati di quest’approccio è il dato formale. Archivio dunque non come presentazione caotica e formalmente sciatta di una storia, bensì fondo narrativo da cui trarre spunto per un racconto curato ed esteticamente compiuto. Steve McQueen più che Thomas Hirschhorn, per restare nell’ambito della narrazione.
Uno dei risultati più immediati che si ottengono in tal modo è il seguente: il pubblico può godere dell’opera anche senza dover per forza documentarsi sull’oggetto dell’opera stessa. Restare cioè a un livello superficiale, galleggiare; e così essere più facilmente attratti da quel che c’è sotto il pelo dell’acqua. Senza che l’artista ti costringa a immergerti.
Marco Enrico Giacomelli
Ginevra // fino al 17 agosto 2014
Joachim Koester – The Place of Dead Roads
a cura di Andrea Bellini
CAC – CENTRE D’ARTE CONTEMPORAIN
Rue des Vieux-Granadiers 10
+41 (0)22 3291842
[email protected]
www.centre.ch
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