Quant’era sexy Berlino. I colori della DDR
Non solo il grigio del Muro. Una mostra fotografica al Deutsche Historisches Museum Di Berlino ridipinge la vita nella DDR. Con i colori del fascino e della sensualità. E qualche crepa che appariva anche dai reportage commissionati dallo Stato.
Berlino apre un nuovo cassetto di ricordi che regalano uno scorcio sulla vita nella Germania Est. Memorie di un passato difficile riemergono sotto forma di fotografie a colori, mentre le tinte delle vecchie pellicole Anni Settanta diventano pretesto per un nostalgico balzo indietro nel tempo. Secondo alcuni ex tedeschi dell’est, non tutti gli aspetti della vita nella DDR meritavano l’oblio: la riunificazione, portatrice di nuove libertà politiche, spazzò via anche quelle abitudini quotidiane, quegli oggetti e quei riti collettivi inizialmente imposti, ai quali i cittadini della DDR finirono per affezionarsi.
Questo particolare sentimento chiamato ostalgia (dal tedesco Ostalgie, crasi delle parole tedesche Ost, est e Nostalgie, nostalgia) ha oggi un nuovo luogo di culto. Fino al 31 agosto il Deutsche Historisches Museum di Berlino ospita infatti la mostra fotografica intitolata Farbe für die Rebublik: oltre cento scatti o, meglio, sguardi sulla vita quotidiana ad est del Muro prima della riunificazione. Dietro l’obiettivo, Martin Schmidt e Kurt Schwarzer, due fotografi incaricati dagli organi di stampa e da istituzioni della DDR di ritrarre – rigorosamente a colori – la “faccia buona” del socialismo reale. Tra gli Anni Sessanta e i primi Ottanta i due fotoreporter portarono le loro macchine in aziende di stato, fattorie collettivizzate, scuole materne, complessi abitativi per anziani, ristoranti e cantieri per immortalare la vita in apparenza felice dei lavoratori impegnati a costruire quello che secondo l’ideale socialista doveva essere il migliore dei mondi possibili.
Gli scatti riprendono una schiera di operai e operaie zelanti, le mani intente a produrre decorazioni natalizie e bambole destinate alle braccia di bambine sorridenti. Le ciminiere fumanti sullo sfondo indicano cicli di produzione a pieno ritmo. In campagna i contadini condividono il relax di una pausa dal lavoro agricolo: nessuna traccia di un apparato statale opprimente. Nulla suggerisce che quelle vite dai colori sfavillanti fossero pianificate dall’alto in ogni minimo dettaglio, socialità inclusa.
Se si osservano le immagini con attenzione, al di là della patina di un benessere ostentato, non si può non notare una costante decisamente più frivola ma non priva di fini propagandistici: il fascino femminile irrompe con prepotenza nei ritratti della DDR, pretendendo (e ottenendo) l’attenzione dell’osservatore. Tra gli operai dell’industria tessile risplendono ragazze dall’aspetto attraente colte in momenti di svago e complicità, mentre l’aratro è guidato da una giovane donna che non nega un’occhiata furba all’obiettivo. Alla tavola imbandita di cibi esotici siede un’affascinante cliente che sostiene non senza una punta di malizia lo sguardo dell’uomo che le sta accanto. I colori della DDR diventano così quelli di rossetti, chiome cotonate e sguardi ammalianti, fino all’immagine di una donna immersa in una vasca da bagno in una posa sensuale degna della migliore Marylin. Questo audace scatto sembra portare con sé qualcosa di sovversivo, quasi proiettandosi al di là di un muro costruito per separare non solo vite e ideali politici, ma anche quelli estetici. Un’idea di bellezza che riunisce sotto il segno del piacere due mondi condannati alla rivalità per imposizione della classe dominante.
È il commento a quegli scatti, tratto da una rivista dell’epoca, che smorza l’intrepido slancio riunificatore della bellezza. Le donne ritratte nei reportage sono state scelte perché incarnano l’idealedelladonna socialista: sono innanzitutto emancipate compagne di lotta. In secondo luogo, possono anche essere attraenti. La stampa socialista, che deve soddisfare tutti i bisogni dei lettori, non esclude l’intrattenimento, e quindi ritratti che esaltino la bellezza femminile, ma a patto che questo abbia uno scopo ben preciso e prettamente politico: beunruhigen, agitare. Questa sorta di “giustificazione”, che esprime la necessità della stampa socialista di diversificare la propria rappresentazione della bellezza rispetto a quella occidentale, ci riporta al Muro che divide, a ovest, un’idea di fascino puramente esteriore, e a est, bellezza con una missione politica.
Al di là di ogni giudizio di valore, ora scontato e superfluo, quelle immagini restano fedeli, seppur involontariamente, al loro intento originario. Se oggi forse non “agitano”, di certo costituiscono un ottimo spunto di riflessione: è difficile uscire da Farbe für die Republik senza nuove domande. Inoltre, alcune immagini, viste con gli occhi di oggi, mostrano le crepe del socialismo reale: la fotografia non riesce a mentire fino in fondo, nemmeno su commissione. I colori della DDR non sono solo quelli dei sorrisi e della serenità: seppure poco evidenti, non mancano alcuni presagi negativi. In una serie di scatti di Schmidt datati 1982, tre operai regalano all’obiettivo uno sguardo assente e frettoloso, come se solo per un attimo riuscissero a distrarsi dal monotono lavoro che li assorbe e da una vita che non amano. Gli anziani a passeggio nel parco della residenza sembrano guardarsi attorno spaesati, disorientati, piuttosto che felici.
Come tante tessere di un mosaico, i vari colori di Farbe für die Republik concorrono a creare un sincero spaccato della vita nella Germania Est, togliendo quella patina di grigio che copre i ricordi dei tempi del muro e segnando una nuova e imperdibile tappa nel percorso verso il recupero della memoria, senza privare il passato di una nota di intrigante e genuina spensieratezza.
Michela Albizzati
Berlino // fino al 31 agosto 2014
Farbe für die Republik
DEUTSCHE HISTORISCHES MUSEUM
Unterden Linden 2
+49 (0)30 20304750
[email protected]
www.dhm.de
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati