Al Mart è scoppiata la guerra
Il Mart di Rovereto è occupato dalla grande mostra “La guerra che verrà non è la prima”, colonna portante del progetto “Mart/Grande guerra 1914-2014”. Che prevede altre due esposizioni nelle sedi della Casa d'Arte Futurista Depero e Galleria Civica di Trento, nonché una serie di incontri, convegni ed eventi collaterali.
La Grande Guerra, prima narrazione comune e primo trauma collettivo degli italiani, ancora operanti nelle famiglie, attraverso i racconti di nonni e bisnonni, per la presenza di libri, fotografie e cimeli, approda al Mart, in un territorio che ne porta ancora i segni visibili. Chi pratica le montagne fra Veneto e Trentino non può non imbattersi in trincee, camminamenti, crateri, ruderi di postazioni. “Rivolgersi agli ossari. Non occorre biglietto”, scriveva Zanzotto.
L’intento dei curatori però qui, come denuncia il titolo, è di allargare lo sguardo, a partire dal racconto della Prima guerra mondiale, usato come innesco di una riflessione più ampia. Qui si vogliono incrociare e lasciare agire molteplici e trasversali visioni della guerra, da cent’anni fa a oggi, in un percorso che ci interpelli e che ci riguardi.
Per affrontare una materia così vasta e difficile, un team curatoriale in buona proporzione femminile ha schierato sul campo tutte le forze di cui si poteva disporre – storia, filosofia, arte, letteratura, psicoanalisi – avvalendosi di un gruppo di lavoro costituito da studiosi di competenze diverse, il cui contributo è presente, insieme a quello di altri, anche nel ricco catalogo (per citare alcuni autori: Collu, Cincinelli, Scardi, Boschiero, Zadra, Corni, Nancy, Fois, Recalcati).
Il viaggio che siamo chiamati a compiere è annunciato già dal piano terra. Ci accompagnano nella salita scritte sui muri che non lasciano adito a dubbi sulla destinazione di questo invito-a-luogo: “morte”, “stanchezza, fame, freddo”, “sporchi, pazzi di paura”. Sono brani di diario di trincea, dove muoiono anche i vivi. Di questo si tratta: l’immane carneficina. La distruzione della vita e la vita disumana. Niente rimozione, niente omissioni, nemmeno degli aspetti più scabrosi: la guerra come “sbornia”, come attrazione fatale, come “igiene del mondo”.
Tuttavia, come afferma la direttrice Cristiana Collu, la visione diretta dell’orrore provoca rifiuto, anestesia, ed è qui che, come vediamo nell’installazione che ci accoglie, possibile manifesto dell’intera mostra, In Flanders Fields di Berlinde de Bruyckere – cavalli a grandezza naturale, riversati a terra o su piedistalli, in pose scomposte con gli arti ritorti – ,l’arte ci viene in soccorso. Con la sua capacità di “dire altrimenti” che consente una prossimità all’evento, veicolandone il nucleo indicibile, irrappresentabile in modo indiretto, allusivo, uno stare in presenza che non ci fa distogliere lo sguardo.
Forse, in questo senso, le opere qui più efficaci sono proprio quelle in cui si vede meno, dove la violenza è evocata attraverso l’attestazione di un cortocircuito che avviene al soggetto, preso in una parossistica, ostinata reiterazione dello stesso gesto o delle stesse parole (Bajevic e Licham, Jaar); o ancora attraverso quasi un cupio dissolvi del paesaggio – come soggetto artistico – attorno alla ferita infertagli (De Pietri) o nella sua assimilazione a ipotetico bersaglio di incursioni aeree notturne (Ruff).
Sebbene, grazie al contributo del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto e a prestiti di altre importanti collezioni, la mole dei documenti (fotografie, filmati, cartoline, manifesti, cimeli, reperti, corrispondenze) da sola basterebbe a costruire una mostra di carattere storiografico, nel percorso espositivo si è escluso l’ordine cronologico così come l’apparato didattico. I curatori dichiarano un raggruppamento tematico: terra, futurismo, propaganda, fotografia, conflitto, umanità, dopo guerra ecc. Il materiale è organizzato in un percorso mentale intorno a nuclei di pensiero aperti, non statici o prescrittivi, che consentono anche salti e ritorni, e dai quali le immagini a tratti si conglomerano affastellate, a tratti si diramano dilatate nello spazio. Cosicché in certi momenti abbiamo l’impressione di trovarci nel pieno della battaglia (le serie dedicate a satira e propaganda, le incisioni di Max Beckmann, le tempeste d’acciaio futuriste, le xilografie di Birk); in altri, in una zona di tregua in cui l’orizzonte e il pensiero si distendono (i video di Rento o Abdul,ad esempio).
I documenti sfilano accanto alle opere d’arte creando costellazioni, connessioni anche impreviste. L’esperimento funziona anche perché, come noto, l’arte, negli ultimi cento anni, ha incluso nella sua storia grafica, oggetti d’uso comune, reperti archeologici, residui della civiltà dei consumi (emblematica l’installazione di Fabio Mauri) e perché l’immagine, anche quando ha un intento documentale, in quanto immagine, è distinta dal fatto o dal soggetto che raffigura (come appare evidente nella serie dei ritratti dei trentini internati a Katzenau o in quella più famosa dell’esecuzione di Cesare Battisti). Alcuni degli artisti presenti mettono al centro della loro ricerca questa distinzione, portandola a evidenza: Eric Baudelaire, includendo nel fatto, a prima vista reale e invece costruito in un set cinematografico, la sua rappresentazione; An-My Lê, presentando come vero scenario di guerra un’esercitazione militare. Analogo il lavoro, però su video, di Gianikian e Ricci Lucchi,che risemantizzano oggetti ritrovati (giocattoli), riprendendoli da una determinata angolazione secondo un particolare andamento narrativo, o filmati d’epoca, ricolorandoli, riassegnando una diversa cadenza al ritmo, al tempo di ripresa.
“One day I began to see”, leggiamo nel video In transit, mentre i bambini ripresi da Lida Abdul trasformano il rottame di un aereo militare in un campo di gioco. Vedere, pensare nella catastrofe o proprio a partire dalla catastrofe, il completo stravolgimento delle coordinate etiche, esistenziali, temporali (nella guerra l’irreparabile avviene in pochi secondi, ci ricordano Herzog e Rovner).
Accolgo l’esortazione di Cincinelli, attraverso le parole di Giorgio Agamben: “Essere capaci non solo di tenere lo sguardo fisso nel buio dell’epoca, ma anche di percepire in quel buio una luce che, diretta verso di noi si allontana infinitamente da noi”. Può darsi che questo significhi farsi trovare “puntuali ad un appuntamento che si può solo mancare”. Noi, comunque, facciamoci trovare.
Roberta Morgante
Rovereto // fino al 20 settembre 2015
La guerra che verrà non è la prima. Grande guerra 1914 – 2014
a cura di Cristiana Collu conSaretto Cincinelli, Gustavo Corni, Fabrizio Rasera, Diego Leoni, Marco Mondini, Paolo Pombeni, Gabi Scardi, Camillo Zadra
MART
Corso Bettini 43
800 397760
[email protected]
www.mart.trento.it/guerra
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/36673/la-guerra-che-verra-non-e-la-prima-1914-2014/
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