Hokusai, Grand Palais, Parigi: il crocevia della modernità
Si apre al Grand Palais la più grande retrospettiva parigina dedicata a Hokusai. Pittore e incisore giapponese tra i più prolifici e longevi, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, ha ispirato intere generazioni di artisti europei, a cominciare dagli impressionisti. Qui vi raccontiamo la mostra e l’opera di uno dei padri della pittura moderna.
Si è soliti indicare come moderna quell’arte che dal 1863 – anno in cui Edouard Manet espose il suo Déjeuner sur l’herbe presso il Salon des Refusés – prese a diffondersi in Francia, poi in Europa, accendendo il valzer delle prime avanguardie. Se si esclude l’esperienza dadaista – il cui sperimentalismo parossistico inaugurò, di fatto, ciò che oggi chiamiamo contemporaneo – l’arte moderna fu senza dubbio l’ultima grande stagione di una tradizione pittorica millenaria. L’Impressionismo, punto di partenza di questa stagione seducente e proteiforme, ha un debito immenso nei confronti di due accadimenti ben precisi. Uno fu la diffusione della fotografia, grazie all’atelier che Nadar installò in Boulevard des Capucines nel 1860. L’altro fu la scoperta delle arti grafiche giapponesi dell’era Edo (antico nome di Tokyo).
Al Grand Palais ha appena inaugurato la retrospettiva d’inedita ampiezza che Parigi ha deciso di dedicare a Katsushika Hokusai (1760-1849), maestro dell’ukiyo-e (“immagini del mondo fluttuante”), pittore e incisore assai longevo, al quale si devono alcune delle invenzioni stilistiche e compositive che più hanno influito sulla modernità artistica europea.
Nel 1858 la Francia siglò con il Giappone i trattati di amicizia e commercio, così aprendo l’intenso periodo di collezionismo che va sotto il nome di japonisme. Già due anni prima non erano sfuggiti, all’occhio dell’artista Félix Bracquemond, gli straordinari disegni impressi sulla carta da imballaggio di alcune porcellane giapponesi: per puro caso, questi aveva appena scoperto un frammento degli Hokusai manga (“schizzi sparsi”), raccolta di circa 3.900 xilografie non narrative, suddivise in quindici volumi: una sorta di enciclopedia visuale dei costumi e delle consuetudini di allora.
Eccezion fatta per la sezione dedicata ai manga – oggetto di una presentazione a sé stante, volta a celebrare il bicentenario della loro prima pubblicazione (1814) – la mostra è organizzata seguendo, cronologicamente, le mutazioni dello stile di Hokusai. Queste ultime, innumerevoli, sono sempre accompagnate da un cambio di nome, com’era d’uso fra gli artisti (Hokusai, ad esempio, significa “studio della stella polare”). Benché sorprendano l’abbondanza, la bellezza e la maestria delle sue creazioni giovanili, la mostra conferma il genio e l’assoluta unicità delle serie che Hokusai ha realizzato dopo i sessant’anni, sotto il nome di Iitsu. Una su tutte: Le trentasei vedute del Monte Fuji (1826-1833). È in quest’ultima che troviamo capolavori come La grande onda di Kanagawa – da sempre vittima di riproduzioni su kitschissimi gadget da museum store – o Vento del sud, cielo sereno – dove il monte si staglia, rosso, in primo piano su un cielo di nuvole rade – o ancora la Terrazza di Sazai, da cui Claude Monet trasse ispirazione per comporre uno dei suoi dipinti più celebri, la Terrasse à Sainte-Adresse (1867).
Da queste e altre stampe, dagli yomihon del 1805 – libri di lettura accompagnati da illustrazioni – alle Cento storie di fantasmi degli Anni Trenta, affiora la modernità estetica rivoluzionaria di Hokusai. È soprattutto nelle scelte compositive, come negli oggetti spesso tagliati in maniera brusca e inaspettata. È nell’anteporre, all’importanza del soggetto, lo studio del colore che un paesaggio assume in un determinato orario o in una data stagione – inevitabilmente torna, il pensiero, a Monet. È, infine, nel preferire angoli sconosciuti a luoghi celebri; inquadrature inusitate a panorami più tipici: in molte delle vedute, il Fuji fa capolino appena percettibile, ora sospeso su orizzonti rarefatti, ora su scene di genere affidate a pochi, prodigiosi tratti.
È lecito dubitare che tutto questo chiami a sé unicamente gli impressionisti, i fauves, Gauguin o van Gogh. L’arte di Hokusai e degli altri maestri dell’ukiyo-e (Utamaro, Hiroshige e Kunisada su tutti) fu ugualmente fonte d’ispirazione per la Secessione viennese, e sembra anticipare tratti e motivi dei membri della Brücke – illustri xilografi – e della Neue Sachlichkeit, come certe incisioni che Otto Dix dedicò alla guerra. Da un altro punto di vista, sicuramente più audace, se non addirittura profano, è probabile che una tale complessità estetica e compositiva, la varietà di scene, di oggetti, di umori e di figure che s’agitano nelle opere dei giapponesi, restituirono alla pittura europea di fine XIX secolo una ricchezza e una profondità su cui, tolte genialità isolate come Goya o Turner, gravavano due secoli di noiosi neoclassicismi e romanticismi.
Questo meraviglioso percorso espositivo si conclude con una citazione che Hokusai, settantacinquenne, scrisse come prefazione alle Cento vedute del monte Fuji (1835): “Niente di tutto quello che ho fatto prima dei miei settant’anni merita d’essere preso in considerazione. All’età di settantatré ho cominciato a capire la vera forma degli animali, degli insetti e dei pesci, la natura delle piante e degli alberi. A ottantasei avrò fatto sempre più progressi e, a novant’anni, sarò entrato più a fondo nell’essenza dell’arte. A cento avrò definitivamente raggiunto un livello eccellente e, a centodieci, ogni punto, ogni linea dei miei disegni avrà vita propria”.
A circa centodieci anni dalla sua nascita, le opere di Hokusai non avranno preso vita come, forse, questi si aspettava. Quel che è certo, è che anche grazie a loro prendeva vita l’arte moderna. La mostra parigina non è che questa splendida immersione nel crocevia che più ha segnato i destini dell’arte europea alle soglie del Novecento.
Vittorio Parisi
Parigi // fino al 18 gennaio 2015
Hokusai
a cura di Seiji Nagata e Laure Dalon
GRAND PALAIS
3 avenue du Général Eisenhower
+33 (0)1 44131717
http://www.grandpalais.fr/
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