13esimo Festival Internazionale di Fotografia di Roma. Lo specchio del ritratto
Macro, Roma – fino all’11 gennaio 2014. Nell'epoca del selfie impietoso, il Festival della Fotografia di Roma affronta, giunto alla sua 13esima edizione, il gigantesco tema del ritratto. Nato nel 2002, ideato e curato da Marco Delogu, anche quest’anno gran parte del festival è ospitato nelle sale del Macro di Roma, dove trovano spazio la collettiva principale e una serie di prestigiose personali con opere selezionate da nomi di primo piano del mondo dell’arte e della fotografia. Mentre oltre venti mostre sono allestite in altri luoghi della città.
Anche quest’anno, il Festival della Fotografia di Roma ribadisce la sua vocazione alla creazione di un circuito diffuso dedicato alla fotografia, con una serie di esposizioni allestite in altri musei (oltre alla sede principale: il Macro), sedi istituzionali, accademie, istituti di cultura stranieri, gallerie, approdando anche nei nuovi poli culturali periferici (il Teatro Biblioteca Quarticciolo, il Teatro Elsa Morante e il Teatro Tor Bella Monaca). Tante le occasioni di visibilità ai giovani talenti internazionali: il Premio Graziadei vinto da Pietro Paolini con The Two Half; Call For Entry 2014 vinta da Nigel Bennet con Hakuro, An Itoshima Almanac; la settiman edizione del premio Iila-Fotografia, vinto quest’anno da ¿Están ahí? di Rodrigo Illescas e presentato al Macro con una mostra dedicata a fotografi emergenti latino-americani.
Se la fotografia, con il mezzo istantaneo che le è proprio, iscrive nell’eterno la narrazione di sé e dell’altro, allora racconta un romanzo che è la vita intera nelle sue implicazioni storiche e soprattutto sociali, antropologiche, psicologiche. È, insomma, una chiave di lettura della società. Il gioco tra chi ritrae e chi è ritratto, nel ritratto fotografico, è un limbo sottile, fatto apposta per essere travalicato. Il fotografo coglie lo sguardo interiore più congeniale al suo scopo, ritrae sé stesso, distoglie lo sguardo da ciò che infetta il suo messaggio. O, forse, tutto gli fa gioco. A differenza di quello pittorico, il ritratto fotografico quasi sempre intercetta la vita mentre questa si compie, narrandola con una pletora infinita di procedimenti, tecniche, formati e supporti che in ogni caso ci costringono a una considerazione: quello che vediamo è vero.
Il festival è quindi una grande quadreria costellata di finestre sulla nostra storia, che diventa, quindi, la Storia con la esse maiuscola, in cui l’identità – scomposta, accarezzata, capovolta, manipolata – trova la sua più caleidoscopica interpretazione, propria della razza umana: ritratto come collettività, come individuo, come corpo, come mente, come razza, come genere.
“Un grande gioco dove chi guarda è protagonista e vede se stesso“, nelle parole di Delogu, che tocca tappe importanti del ritratto fotografico. Dall’evoluzione della fotografia tedesca dagli Anni Venti ai giorni nostri, con le opere di August Sander e Helmar Lerski, al progetto di Eugenio Lo Sardo e Manola Ida Venzo, un ritratto collettivo del movimento anarchico nel periodo della sua massima espansione che racconta, con fotografie dagli Archivi di Stato di Roma, una storia corale mai spersonalizzante, ma composizione di tasselli vivi, veri, accomunati dalla scintilla anarchica.
Oleg Videnin e Ingar Krauss catturano gli occhi magnetici dell’infanzia, mentre i ritratti di Doug Dubois, in My last day at Seventeen, scolpiti da una luce drammatica, raccontano gli ultimi istanti di adolescenza di un gruppo di ragazzi irlandesi. La vita (“territorio con le sue figure che non smettono di svanire mentre i paesaggi continuano ad abbellirsi”) sembra sfuggirci accanto nelle effimere foto di Alexandra Cartiere, allieva di Irving Penn, mentre ci sembra di inciampare, seppur in punta di piedi, in quella dei personaggi di Martin Bogren e Piergiorgio Branzi. Se le nitide istantanee del grande ritrattista Arturo Patten omaggiano elegantemente Antonello da Messina, Antonia Mulas sceglie gli Autoritratti di persone a lei care, tutteilluminate dalla stessa luce,come il canale attraverso il quale guardare sé stessa.
Asger Calsen parla rigorosamente in bianco e nero, costringendoci a mettere a fuoco il corto circuito tra rappresentazione realistica e soggetti irreali, nel ciclo Hester selezionato da Alessandro Dandini de Sylva, che scardina gli imperativi estetici del nudo femminile e nelle grottesche manipolazioni digitali di Wrong. Roger Ballen,nell’onirico Asylum of the birds, ci porta nei territori scoscesi dell’inconscio di un gruppo di reietti della società, alle prese con il regno primordiale delle immagini. The Beats di Larry Fink, in prima mondiale al Macro, a cura di Peter Benson Miller, racconta una beat generation “di seconda generazione”, quella di ungruppo di poeti, musicisti, pittori, attori che occupavano gli scantinati del Sullivan Street Theatre, accanto al famoso jazz club Village, nel Greenwich Village degli Anni Cinquanta. Al 12esimo anno di Commissione Roma, Marco Delogu racconta la sua Città Eterna, inghiottita da soli neri e soli bianchi e allucinata dalla notte, in Luce Attesa, a cura di Bartolomeo Pietromarchi.
La fotografia, ancora una volta e ancor più se declinata nel ritratto, diventa così la lente d’ingrandimento dello sguardo interiore dell’umanità intera.
Marta Veltri
Roma // fino all’11 gennaio 2015
Fotografia Festival 2014 – Portrait
diretto da Marco Delogu
MACRO
Via Nizza 138
06 0608
www.fotografiafestival.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/37179/fotografia-festival-internazionale-di-roma-2014/
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