Il cardinale e il cavaliere. Manzù e Marini: un confronto possibile?
Fondazione Magnani Rocca, Traversetolo – fino all'8 dicembre 2014. Alla Biennale di Venezia del 1948 erano presenti entrambi, ma fu Manzù a vincere il Premio Internazionale di Scultura. Ora una mostra importante accosta le opere, le figure e il successo di Manzù e di Marino, svelando le connessioni e competizioni, rivelandone le differenti tecniche e poetiche e facendo dialogare le rispettive sculture.
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Anni Cinquanta e Sessanta: qui si colloca l’apice del successo dei due scultori – “gli ultimi moderni” – ampiamente testimoniato nelle riviste popolari e in quelle specializzate, di cui sono esposti vari numeri nella mostra dedicata a Giacomo Manzù (Bergamo, 1908 – Roma, 1991) e Marino Marini (Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980) alla Fondazione Magnani Rocca. Tra le collezioni permanenti si conservano alcune opere del primo: due bassorilievi con Orfeo, e il San Giorgio eseguito per la tomba di Giorgio Morandi ma rifiutato dalle sorelle del pittore perché troppo poco celebrativo; ora la sfida coraggiosa è quella di porre lo scultore lombardo a confronto con il suo contemporaneo toscano.
La sala di apertura – che, come l’intero percorso, accosta le sculture a disegni, schizzi e dipinti – contrappone due aspetti dell’opera di Manzù: il sacro e il profano. Da un lato le opere commissionate dal Vaticano, in primis la travagliata impresa della Porta della Morte, fino al Grande Cardinale che domina la visuale d’ingresso e dà luogo a una perfetta sintesi tra masse monumentali geometriche e un’umanità di un volto appena accennato, ma sereno e intensamente religioso. Dall’altro il rapporto tra scultore e modella che, oltre a rivelare la pratica d’atelier, è curioso soprattutto nel gioco tra corpo spogliato e corpo vestito: quando la modella è nuda, l’artista veste paludamenti che quasi lo nascondono; viceversa, quando la modella è vestita, lo scultore è a petto nudo.
Poi lo spazio dedicato a Marino: le grandi sculture di quella “parabola” che fu Cavallo e cavaliere sono abbracciate dai dipinti e dalle piccole sculture che riprendono lo stesso tema. Se il punto di partenza è la ieratica eleganza del medievale Cavaliere di Bamberga, in pochi anni (dal 1945 al 1962) l’artista scompone le forme, instaura una lotta tra animale e uomo che manifesta tutta la tensione, tutto il dolore provocato dalla seconda guerra mondiale e che porta infine l’uomo a cadere con uno straziante grido di dolore, rappresentato in due dipinti del 1953 e del 1962.
Il vero e proprio confronto tra i protagonisti si gioca soprattutto sul tema dei ritratti e dei corpi di donna: Manzù innamorato di Inge Schabel, che raffigura come danzatrice e come donna ideale dal busto quasi quattrocentesco, e poi le teste di artisti, personaggi del jet set e della più alta cultura mondiale dell’epoca e ballerine slanciate in equilibrio sulle punte. Marini, che irrita Chagall con il ritratto dai caratteri somatici troppo accentuatamente ebraici e con le sue danzatrici simili a creature della terra, la cui massa possente sfida la gravità e il cui sorriso non è affatto esente da forti inquietudini.
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Marino Marini, Danzatrice, 1952-53, scultura in bronzo
Si scopre, grazie questa mostra, la straordinaria abilità di Manzù scultore e un Marini artista a tutto tondo, pittore eccellente che sfiora le esperienze cubiste, attraversa Matisse per poi approdare a dipinti quasi informali che traducono bidimensionalmente e cromaticamente i tragici cavalli e un pessimismo da cui l’uomo non si può salvare.
Marta Santacatterina
Mamiano di Traversetolo // fino all’8 dicembre 2014
Manzù/Marino. Gli ultimi moderni
a cura di Stefano Roffi e Laura D’Angelo
FONDAZIONE MAGNANI ROCCA
Via Fondazione Magnani Rocca 4
0521 848327
[email protected]
www.magnanirocca.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/37190/manzu-marino-gli-ultimi-moderni/
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