Steve Sabella e l’archeologia futura. In mostra a Verona
Scavi Scaligeri, Verona – fino al 16 novembre 2014. Grattare via pezzi di muro dalla Città Vecchia di Gerusalemme e renderli protagonisti di una elaborazione del lutto. È l’esilio secondo il palestinese Steve Sabella, all’esordio in Italia.
Steve Sabella (Gerusalemme, 1975; vive a Berlino dal 2010) utilizza la fotografia e le installazioni fotografiche per esprimersi. Il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona, in collaborazione con Boxart Gallery e nell’ambito di PhotoArtVerona, ospita una retrospettiva a lui dedicata, la prima in Italia. Una mostra breve, semplice nei contenuti e nella visione delle opere. Il titolo, Archeology of the Future, potrebbe sembrare contraddittorio, a partire dall’immagine manifesto. Ma è proprio quest’ultima che incuriosisce e stimola alla visita.
La prima parte della mostra vede in esposizione le opere dal titolo In Exile, ampie stampe montate su alluminio, realizzate nel 2008. Le opere introducono bene quel senso “archeologico” che l’artista cerca di trasmettere in tutta la rassegna. Sono opere a mosaico, con l’affiancamento ripetuto di due/tre immagini che ritraggono frammenti di abitazioni, finestre ed esterni di edifici, raramente anche con una presenza umana, disposti in modo non ordinato. L’ampiezza di questi lavori trasmette un senso di solitudine, di estraneità, appunto di esilio. Un sentimento che, come i frammenti di immagini, non mette nelle condizioni di vivere serenamente.
Sabella spiega questo concetto e tutta la sua ricerca espressiva grazie al video In the Darkroom with Steve Sabella: quindici minuti in cui l’artista chiarisce il suo approccio tecnico alla fotografia e l’uso delle sperimentazioni materiali, le motivazioni che lo hanno spinto all’introspezione nei confronti del suo passato. La camera oscura un luogo, come afferma l’artista, “in cui non parli con nessuno. L’unica cosa con cui parli è… l’arte”.
Sabella illustra in particolare la sua rielaborazione dell’esperienza che lo ha segnato a partire dall’infanzia: la Palestina. Un luogo fisico ma soprattutto emozionale che abbandona – è l’esilio –, dove ancora oggi lo stato giuridico è fortemente controverso, uno scontro etnico interno, segnato dalla costruzione di un muro fisico e mentale, l’incapacità di dialogo tra popoli diversi seppur accomunati dallo stesso stato di appartenenza. Uno scontro che prosegue ormai da oltre sessant’anni. Un muro, prosegue Sabella, non solo presente in Palestina, ma fisicamente e mentalmente presente per lui anche stando in un altro luogo. Fino ad arrivare a Indipendence (2013), un momento della propria esistenza in cui supera il suo sentimento di solitudine e di vissuto esistenziale, una visione teatrale e suggestiva rappresentata da teli bianchi alti oltre due metri, con la proiezione di immagini sgranate di corpi.
Da vicino illustra la sua metodica di lavoro, e in particolare si viene a capo dell’immagine-guida della mostra. Sabella ritorna nella sua città Natale e diventa archeologo dei luoghi che decide di ripercorrere. Abitazioni abbandonate, nella Città Vecchia di Gerusalemme – occupata dagli israeliani dal 1948 – dove l’artista raccoglie o prende da sé a mani nude frammenti di muro e di pittura, e nello stesso tempo scatta immagini del posto, convertendo gli stessi in bianco e nero – gradazione della memoria – per poi usare questi frammenti materici come base per la stampa fotografica delle immagini che scatta di questi stessi luoghi, che sviluppa da solo in camera oscura. Un ciclo di reperti archeologici autentici che prendono il titolo 38 Days of Re-Collection (2014). Un altro modo di fare mosaico, un tassello di un luogo, della propria esistenza, l’archeologia del suo tempo.
Nelle sale precedenti, esposte anche In Transition del (2010), seguito da sei fotografie dal titolo Metamorphosis (2012). In queste opere, il filo spinato è protagonista: una costrizione fisica che diventa poi una ricucitura delle ferite. Nel contempo, il muro dei territori palestinesi occupati divengono onirici come il riflesso dell’acqua vibrante.
La rassegna chiude con Exit (2006): mani anziane, ricurve, con immagini che si dissolvono l’una nell’altra, per l’autore un cammino senza sosta dell’esistenza, che corrompe il corpo ma rafforza la percezione.
Terry Peterle
Verona // fino al 16 novembre 2014
Steve Sabella – Archeology of the Future
a cura di Karin Adrian von Roques
SCAVI SCALIGERI
Piazza Viviani
045 8077532
[email protected]
www.comune.verona.it/scaviscaligeri
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/37340/steve-sabella-archaeology-of-the-future/
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