Affonda le mani nella memoria, Luca Lanzi (Bologna, 1977), con la trasfigurazione del proprio vissuto in qualcosa d’altro, totale, universale e quindi senza tempo. E così il tema del gioco, il giocattolo come oggetto, diventa koiné per mettere in comunicazione un immaginario che viene da lontano, con accenti che rimandano all’antico – persino al preistorico – e altri che si specchiano invece nella tradizione popolare, sconfinando in una iconografia che ricorda le tribù metropolitane otaku. Siamo alla definizione plastica dell’homo ludens, insomma, che riconosce nel gioco le proprie radici sociali, linguistiche e relazionali.
Lo fa con pupazzi in terracotta dal ghigno inquieto e dalla pelle brunastra tatuata di segni enigmatici, quasi nuragici o camuni, che sembrano usciti dalla mente manga di Takashi Murakami. Lo conferma con pagliacci e feticci felliniani e lo ribadisce, con forza, nelle grafiche, nei disegni, nelle composizioni in cartapesta. Su cui aleggia inafferrabile il mistero di uno spettro di inquietudine.
Francesco Sala
Milano // fino al 17 gennaio 2015
Luca Lanzi – La mano e l’idolo
a cura di Laura Borghi
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