Carlo Bernardini ad Atipografia. Fra luce fredda e intonaci cadenti
Atipografia, Arzignano – fino al 14 marzo 2015. Dentro e fuori, Edison e Tesla, luce e buio. Negli spazi iper-caratterizzati del recente spazio vicentino, le installazioni luminose di Carlo Bernardini.
Atipografia non ha nulla a che vedere con le gallerie intonse, dentro certi spazi architettonici pieni di limitazioni, dice Carlo Bernardini (Viterbo, 1966). La sua personale, Coordinate invisibili, è nata dalla relazione con quello che è uno spazio crudo, fortemente caratterizzato, legato al suo passato, di questa storica tipografia della provincia vicentina, ma che, con l’intonaco vissuto e le ampie vetrate, si presenta come una vera e propria “palestra” per l’artista e la sua ricerca artistica. Bernardini ha inteso l’asprezza del luogo, le difficoltà oggettive dello spazio come un valore aggiunto al suo lavoro.
Le sue opere sono più che installazioni di luce: le geometrie di fibra ottica scardinano la prospettiva del reale, abbattendo virtualmente i limiti oggettivi delle architetture, sovrapponendo ad esse nuovi piani intuibili. Queste leggerissime “opere ambiente” dialogano con il buio: nell’oscurità in cui è avvolta la grande sala espositiva non si percepiscono che sottili e ben definiti fasci di luce, dall’intensità eterogenea. Alla luce del giorno, le opere svelano un esoscheletro di metallo, a sostegno delle fibre ottiche, che diventa parte integrante del fattore installativo.
Un’altra opera entra direttamente a contatto con lo spazio di Atipografia, ignorando i limiti oggettivi delle superfici materiche: composta da sottilissimi tubi di vetro riempiti dal gas neon (ma privi di elettrodi), si fa spazio attraverso i vetri delle finestre, bucandoli e stando letteralmente a metà tra il dentro e il fuori. Questa delicata piramide di linee di vetro illuminato contiene al suo interno una piccola bobina di Tesla che permette alla struttura di illuminarsi, sostituendosi alla fonte di energia elettrica tradizionale, ma producendo nei tubi intensità luminose differenti.
L’aspetto di “ambiente” che assume nel suo complesso l’apparato di opere nello spazio ricorda l’attività di ricerca della Op Art, del Gruppo T e delle varianti prospettiche messe in campo, attraverso l’applicazione degli studi di ottica e cinetica, negli ambienti in cui lo spettatore “viveva” l’opera e cominciava a interagire con essa, modificandola. Così, di fronte ai “neon ritoccati”, si imita il gesto dell’artista che, usando la mano come conduttore di elettricità, attiva i neon spenti avvicinandosi ad essi. La rifrazione della piramide sui vetri bui imbroglia l’occhio, che non riesce più a percepire cosa è dentro e cos’è fuori, in un continuo gioco di rimandi e cambi di visione.
Petra Cason
Arzignano // fino al 14 marzo 2015
Carlo Bernardini – Coordinate invisibili
ATIPOGRAFIA
Piazza Campo Marzio 26
329 1754133
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