Mario Merz Prize. Al via la prima edizione
Fondazione Merz, Torino - fino al 12 aprile 2015. In fondazione, la mostra dei finalisti della sezione Arte del primo Premio Internazionale Mario Merz. Tra 512 candidature sono stati scelti Lida Abdul, Glenn Ligon, Naeem Mohaiemen, Anri Sala e Wael Shawwki. L'annuncio del vincitore a fine aprile, mentre si è aperto il bando per la seconda edizione.
Se – come recita il comunicato stampa – “l’arte rappresenta la libertà di pensiero senza confini”, allora il Mario Merz Prize è destinato a crescere esponenzialmente e collocarsi tra i premi punto di riferimento per l’arte contemporanea. Come diceva Karl Kraus: “Il mondo ha esattamente i confini che l’immaginazione gli dà”. Sono tredici le opere in mostra fino al 12 aprile, dopodiché al voto del pubblico si aggiungerà quello della giuria. All’artista vincitore sarà dedicata una personale alla Fondazione Merz e alla Merz Foundation di Zurigo, accompagnata da una monografia.
Chi sono i cinque finalisti? Cosa li accomuna? Forse quella sensazione di nostalgia di cui è permeata l’intera mostra; quel senso di lontananza nello spazio e nel tempo, che scava in profondità, in luoghi raggiungibili solamente dentro noi stessi.
Lida Abdul (Kabul, 1973) è un’artista afghana che unisce in uno scenario di guerra e macerie due linguaggi artistici differenti: foto e video. Sia In Transit che in Time, Love and the Workings of Anti-Love, emerge una bellezza malinconica che ferma il tempo, rimandando immediatamente al ricordo e al pensiero di avere il diritto di essere bambini nel modo giusto. Il racconto che Glenn Ligon (New York, 1960) fa del modo in cui è arrivato a Warm Broad Glow II è la storia di come sia finito a utilizzare il neon nella sua opera, oltre che un tributo a Gertrude Stein. È concettualmente spregiudicato e dei cinque finalisti è forse quello più inclusivo e per il quale si raggiunge l’impatto visivo più immediato.
Sono quattro le installazioni dello scrittore visivo Naeem Mohaiemen (Londra, 1969). Conflitto e commedia surreale permeano la sua opera e questo emerge sia in United Red Army, il suo film più conosciuto, che in Der Weisse Engel. La forte presenza letteraria arricchisce intellettualmente il lavoro, ma il ritmo serrato e l’ambiente non sempre permettono di raggiungere l’attenzione richiesta per comprendere la totalità dei riferimenti, rischiando che i lavori nella loro complessità possano risultare a tratti dispersivi. Anri Sala (Tirana, 1974) racconta un vuoto. Sia in Note su Unravel che in Names in the Doldrums è come se risuonasse un’esecuzione in un non luogo. Il tempo e lo spazio sono sfasati, asincroni, in attesa di ricomporsi e ricongiungersi, ma mai dissonanti, come cullati da una corrente di risacca.
I due video di Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971) hanno un grande valore esotico ed estetico. Soprattutto l’utilizzo delle marionette in Cabaret Crusades: The Path to Cairo, ma anche il doppiaggio di Al Araba Al Madfuna. Fanno pensare alla magia; a qualcosa di mitico, antico e in qualche modo perduto.
Eugenio Giannetta
Torino // fino al 12 aprile 2015
Mario Merz Prize
a cura di Beatrice Merz
FONDAZIONE MERZ
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