C’era una volta la Jugoslavia. Fra memoria e nostalgia, una mostra a Belgrado
Museo di Storia Jugoslava, Belgrado – fino al 19 aprile 2015. A vent’anni dalla dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, una mostra mette in luce una nuova lettura dello Stato Socialista. Focalizzando l'attenzione sui modelli dominanti del regime, rappresentati dai ritratti di un'infanzia che ne ereditava il dominio.
Fiery Greetings vede la partecipazione di alcuni dei migliori artisti contemporanei provenienti da tutta la regione Balcanica, che con i loro interventi hanno costruito un dialogo attivo tra il materiale d’archivio e la loro produzione. I progetti proposti indagano la relazione tra la memoria collettiva e individuale di un Paese che non esiste più, analizzando la complessa interpretazione del sistema dell’infanzia socialista.
Il tema della memoria non è nuovo sia alla curatrice che agli altri artisti coinvolti, anzi è un tema ricorrente e molto approfondito dall’arte contemporanea balcanica. Ana Adamović ha iniziato la ricerca nell’archivio del museo circa tre anni fa, concentrandosi sugli album di foto che il presidente Tito riceveva dalle scuole e dalle organizzazioni dei bambini a partire dal 1945 fino alla sua morte nel 1980. Secondo l’artista, interessata soprattutto all’aspetto performativo della fotografia, ossia alla fotografia come il mezzo di una prestazione piuttosto che come mezzo rappresentativo, quelle fotografie sono il luogo in cui si può capire come il popolo jugoslavo voleva presentarsi al suo presidente. In una condizione in cui la seconda Jugoslavia è così fortemente negata dalle élite nazionali di nuova costituzione, questo è stato anche il territorio adatto per esaminare le immagini e i documenti video di una memoria collettiva di un Paese scomparso.
Dušica Dražić evidenzia come le architetture degli ambienti illustrati dalle foto, siano essi aule o campi da gioco, influenzino la visione del futuro dei bambini. La sua installazione Modulo, realizzata con travi in legno, funge quasi da disegno tecnico che prende forma nello spazio. Lo spettatore è virtualmente invitato a entrarvi, l’architettura si trasforma in un parco giochi, in un giocattolo o in un mobile. Tutto rimane trasparente e le funzioni sono solo suggerite, rimandando a un’ipotetica proiezione dell’immagine nella mente dello spettatore o spettatrice. Ma per quanto vivida l’immagine diventi, ci si rende conto che la struttura non potrà mai essere uno spazio funzionale. L’opera denuncia come l’implementazione di una ideologia vada di pari passo con lo sviluppo di regole stilistiche ed estetiche molto precise, presenti sia nel quotidiano che su disegni urbani di larga scala.
Il video Square di Saša Karalić è girato nel villaggio di Ivanjska, nella parte nord-ovest della Bosnia. L’artista inizia la costruzione di una scultura sulla vicina montagna Kik, dove nel 1981 è stato edificato dall’Organizzazione della Gioventù locale un monumento per Tito incorniciato da una stella a cinque punte. Con l’inizio del 1990 il monumento ha perso la sua funzione sociale e politica, e per incuria è stato ricoperto dai cespugli e dall’avanzare della foresta. Nell’estate del 2012 l’artista ha invitato gli abitanti a partecipare a un’azione comunitaria nel corso della quale la montagna è stata ripulita e le pietre del vecchio monumento sono state utilizzate per costruire la nuova scultura.
Il lavoro di Mladen Miljanović è un’installazione che prevede l’opposizione di due pareti: su una è disposta una selezione di 112 fotografie in bianco e nero, di dimensioni variabili e provenienti dall’archivio; sull’altra un pannello di granito è poggiato su un grande ritratto a colori dell’artista e della sua famiglia, scattata in epoca titina. Lightness of memory and weight of experience è un’equazione tra le due memorie, collettiva e personale, in cui il risultato spesso è la conseguenza fantastica di un ricordo, più che un dato oggettivo.
Seguendo le trame della memoria, Renata Poljak sceglie di celebrare la figura di un famoso attore, Slavko Štimac, che per tutta la sua carriera ha incarnato l’intera ideologia di partito. A noi è noto per i vari ruoli nei film di Emir Kusturica. Nel suo video Staging actors/Staging Beliefs (hommage to Slavko Štimac) l’artista croata fonde la forza iconica delle immagini cinematografiche con la potenza evocativa della neve.
Singolari le opere su carta della scrittrice Dubravka Ugrešić. Nella serie Intervention manipola i reperti fotografici inserendo enormi scarpe fuori scala e colorando le facciate architettoniche presenti nei boulevard dove usualmente si svolgevano le parate di regime, quasi a voler sottolineare un potenziale creativo represso.
30.777 biglie di marmo, sette speaker, ognuno dei quali introduce la voce dei bambini coinvolti, hula hoop ed elastici, vanno a comporre l’installazione site specific Marbles di Dejan Kaluđerović. L’intento è mettere in discussione sia i modelli ideologici, culturali e socio-politici imposti da famiglia, educazione e media, nonché dare risalto al ragionamento infantile sui temi indicati dall’artista, quali l’esclusione e l’inclusione sociale, l’immigrazione, la guerra, il denaro e la povertà. Tutte le domande sono state omesse dalle registrazioni e lo spettatore ha l’impressione di ascoltare un dialogo tra i bambini.
Durante il percorso ci si inoltra in ambiti fenomenologici e antropologici che mettono in relazione la lingua e la cultura, l’immagine e la parola, la fotografia e la luce, la memoria e l’ideologia, la memoria storica e il contemporaneo in relazione alla responsabilità collettiva e individuale che edificano la realtà. Ci troviamo di fronte a Freedom Security Progress di Irena Lagator Pejović. Ancora una volta le immagini d’archivio sono in stretto rapporto con le foto private degli artisti: in questo caso ritraggono le visite durante i Raduni di Fratellanza ai memoriali della Seconda guerra mondiale a Vukovar, città tristemente nota per la pulizia etnica a opera delle milizie serbe nei confronti della cittadinanza croata durante le ultime guerre. I dittici luminosi sono posti orizzontalmente, appesi tramite stringhe trasparenti all’interno di una struttura cubica vuota e attraversabile dallo spettatore. I documenti luminescenti mettono in evidenza, attraverso la ritrattistica di aziende e fabbriche, una nomenclatura onnipresente nella cultura jugoslava socialista. Parole quali libertà, sicurezza, progresso, gioventù rimandano ad aspettative proprie di una cultura utopica. Se rivisitate in chiave capitalistico neoliberista, diventa evidente come questi idiomi simbolo abbiano un forte impatto socio-psicologico sull’individuo e sulla collettività, e come – decifrando le tendenze di quel periodo con i suoi fallimenti e insostenibilità, dettati da una mancata responsabilità politica e personale – possiamo codificare i fallimenti contemporanei.
Entusiasmante infine la raccolta di racconti del collettivo ŠKART. What do you task and when nobody asks? (Bed-made theatre stories) è un lavoro iniziato nel 2000, quando il gruppo era in un castello vicino Stoccarda, lontano dal Paese in rovina. Una sola poesia dell’intero libro è stata orchestrata ed eseguita in tutte le scuole della ex-Jugoslavia dal coro Horkeškart. Dopo quindici anni gli artisti hanno elaborato l’idea iniziale e hanno chiesto a tutti i loro amici coetanei provenienti dalla Regione di contribuire al progetto con storie della loro infanzia. Queste storie sono rappresentate strutturalmente come miniteatri, bozzetti in erba, possibili scenari di un nuovo socialismo e una nuova Jugoslavia.
Zara Audiello
Belgrado // fino al 19 aprile 2015
Fiery Greetings
a cura di Ana Adamović
artisti: Dušica Dražić, Dejan Kaluđerović, Saša Karalić, Irena Lagator Pejović, Mladen Miljanović, Renata Poljak, Dubravka Ugrešić, ŠKART, Ana Adamović
MUSEJ ISTORIJE JUGOSLAVIJE
Botićeva 6
+381 (0)11 3671485
[email protected]
www.mij.rs
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati